La vera storia d’un digestivo che ha conquistato il mondo
Attorno alla metà degli anni ’70, due fratelli,
operanti fin da ragazzi nel mondo turistico alberghiero, riuscirono a coronare
un loro vecchio sogno professionale, acquistando una villa a Gorgo al
Monticano, facente parte di un complesso di palazzi di campagna, appartenuti
nel corso del tempo alle nobili famiglie veneziane Foscarini, Corner e Revedin.
Il palazzo, destinato a diventare un lussuoso albergo con ristorante, era
immerso in un parco secolare, ma aveva necessità di radicali restauri che si
conclusero sul finire del 1977.
Terminati
i lavori e acquistati gli arredi necessari all’albergo e al ristorante, i due fratelli
chiamarono a dirigere il complesso un collaudato
professionista veneziano, quindi diedero
inizio all’attività quasi in sordina, pensando di affinare via via la complessa
organizzazione.
Passò
così un anno e ormai tutto funzionava a meraviglia, anche se mancava ancora
qualcosa per completare le dotazioni necessaria per considerare lussuoso quell’albergo.
Una
mattina entrò in ristorante un rappresentante di commercio.
“Buon
giorno signori, disse alle prime persone incontate, posso parlare con il
proprietario o il responsabile degli acquisti?”
“Sono
qua, rispose il direttore, mi dica.”
Prima
gli diede il proprio biglietto da visita e poi chiese: “Mi scusi la domanda:
avete già i televisori nelle camere e nelle sale d’attesa?”
Il
direttore non rispose subito. In verità nelle camere i televisori non erano
stati ancora acquistati. La proprietà aveva speso gli ultimi risparmi e
attendeva di accumulare un po’ di soldi per completare le dotazioni ancora
mancanti, fra cui, appunto, i televisori nelle camere.
“Immagino
che ancora non li abbiate”, disse il rappresentante che aveva notato il
silenzio del suo interlocutore..
“In
verità, precisò costui, abbiamo curato al meglio il ristorante. Per l’albergo ci
manca ancora qualcosa”.
“Nessun
problema, signore. Sono qua io. Mi dica, di quanti televisori avete bisogno?”
Il
direttore ritenne che fosse uno dei titolari a continuare il dialogo e chiamò quello
che vide lì vicino.
“Questo
signore, gli spiegò il direttore, vorrebbe fornirci i televisori che abbiamo
programmato di acquistare nelle prossime settimane.”
“E
io ve li do gratis, intervenne prontamente il rappresentante di commercio.
Tutti. Senza che voi dobbiate tirar fuori una lira.”
“Ma
voi non siete Babbo Natale, almeno non lo credo”, gli disse il proprietario.
“Proprio
no, gli rispose il rappresentante, ma l’affare che vi propongo è per voi di
assoluta convenienza. Mi ascolti. Voi dovete avere in casa per i vostri ospiti
anche dei distillati e dei liquori. Non è vero?”
“Sì”,
risposero all’unisono.
“Bene.
Allora io vi fornisco gratuitamente tutti i televisori di cui avete bisogno se
in cambio acquistate a un prezzo ampiamente scontato della Vodka Wiborova,
un’ottima vodka polacca da un po’ di tempo di gran moda in tutta Europa e ora
in offerta di lancio in Italia. Voi, al termine della cena, proponete un
bicchierino di vodka ai vostri clienti, che naturalmente la pagano, e intanto
vi trovate fra due giorni già con i televisori installati e le camere
dell’albergo pienamente funzionanti. Un affare, non vi pare?”
“Apparentemente
sì, gli rispose il proprietario, ma per voi dove sta l’affare. Non mi dica che
è in giro a fare beneficenza!”.
“Certamente
no, signore, il fatto è che la casa importatrice sta facendo una grossa
operazione promozionale per diffondere il più possibile in Italia questa vodka.
Mi capisce, siamo in fase di lancio commerciale. Se poi la nostra ottima vodka
fosse presente in un ambiente importante come questo acquisterebbe un’enorme
capacità promozionale. Ecco, voi pagate la vodka al prezzo di lancio e i
televisori sono il nostro regalo perché questo vostro importante ristorante ci
promuoverà ancora di più.”
Il
proprietario e il direttore si guardarono negli occhi. Vodka non ne avevano
ancora acquistata, se il prezzo della vodka era buona si poteva anche fare.
“Quanto
viene a costare la vodka?” chiese il proprietario.
“Vede
signore, di quanti televisori avete bisogno?”
“Una
ventina.”
“Bene.”
Il rappresentante di commercio si mise a fare due conti, prese da un suo
borsone una bottiglia della vodka che aveva proposto, la mise sul tavolo e poi
annunciò il prezzo che veniva a costare ogni bottiglia, precisando contenuto e
quant’altro poteva interessare ai suoi clienti.
“Direttore,
disse il proprietario rivolgendosi al suo collaboratore, concluda lei
l’operazione, purché i televisori siano di ottima qualità. In questo albergo,
per giunta nuovo, non possiamo mettere nelle camere apparecchi che non siano di
marca e di piena affidabilità. Non vorrei dover chiamare il giorno dopo un
tecnico per farli funzionare!”
“Grazie,
disse allora il rappresentante di commercio. Signori, fra vent’anni i
televisori che vi faccio avere saranno ancora nelle camere di questo albergo. Ve
l’assicuro. Intanto questa bottiglia ve la lascio come campione.” E si mise a
scrivere l’ordine.
Il
proprietario se n’era andato, aveva ancora tante cose da seguire. Anche il
direttore aveva fretta e, mentre il rappresentante di commercio scriveva
l’ordine, gli fece altre domande sui televisori, poi firmò e salutò in velocità
il suo interlocutore, che se ne andò soddisfatto.
Due
giorni dopo un camion si fermò davanti all’ingresso dell’albergo e l’autista
chiese collaborazione per scaricare i venti televisori. Arrivò del personale e
i televisori furono depositati in una saletta accanto alla reception.
“Domani
verrà un tecnico per installarli nelle camere”, disse e poi chiese dove fosse
il magazzino per scaricare della vodka.
Gli
fu indicato. Il camionista portò il suo mezzo nel retro del palazzo e chiese
aiuto per scaricare le casse di vodka.
Vennero
Enzo De Carli, che era il barman e un cameriere.
Cominciarono
a scaricare ed era una montagna di cartoni.
De
Carli chiamò il direttore il quale, vedendo quell’enorme quantità di vodka
cominciò a rabbrividire.
“Scusi,
disse all’autista, si fermi un attimo. Ma è sicuro che sia tutta roba nostra?”
“Certo
che sì, gli rispose. Guardi qui la bolla di trasporto.”
“Aspetti
un attimo, gli disse ancora, vado a controllare l’ordine fatto due giorni fa.”
Il
direttore tornò quasi subito: era vero, non aveva badato al numero, un po’
confuso, scritto nell’ordine. Ma lui l’aveva firmato e quella vodka era tutta
sua.
Più
tardi, quando arrivò il proprietario, il direttore lo informò della cosa.
Dapprima il proprietario si rabbuiò, ma, sapendo che ormai la frittata era
fatta, bisognava pensare a come smaltire il più velocemente possibile quella
vodka.
Il
proprietario, il direttore e il barman De Carli si chiusero nella saletta
riunioni e cominciarono a ragionare.
“È
chiaro che proporremo un bicchierino di vodka come digestivo, al posto della
grappa e degli amari, dicendo che è di moda e che aiuta la digestione”, disse il
proprietario.
La
discussione continuò un bel po’, con varie proposte, fin che il proprietario
disse.
“E
se noi inventassimo con la vodka un qualcosa di nuovo, di desgropante, che sia
nel contempo originale, molto gradevole e svolga le funzioni di digestivo!”
“Si
può provare”, gli rispose il direttore che s’era messo a scrivere le varie idee
che i tre andavano proponendo.
La
proposta che parve la migliore fu quella di realizzare una specie di cocktail a
base di vodka e gelato al limone e subito fu incaricato il barman di mettersi
all’opera.
Il
giovane barman, bravo, intelligente e veloce, andò al suo banco di lavoro
portando dalla cucina una ciotola di acciaio, vi versò del gelato al limone e
poi un po’ di vodka. Con una frusta cominciò a lavorare per amalgamare al
meglio, poi assaggiò, ma fece una smorfia.
“Non va, proprio non va, non può andare”, disse
sconsolato. “Proverò con altri gelati, vedrò quello che si più ottenere.”
Assaggiarono anche i due fratelli proprietari e il
direttore e concordarono con De Carli.
Era quasi sera quando, sconsolato, il buon barman
decise di rinunciare. Diverse preparazioni le avevano assaggiate anche i
proprietari e altri collaboratori di sala e di cucina, ma nessuna era apparsa
degna di essere servita ai clienti.
Chi non voleva rassegnarsi era il proprietario, il
quale, avendo in un certo qual senso autorizzato l’acquisto della vodka, voleva
che non restasse ad invecchiare in cantina, ma che girasse veloce per
recuperare almeno la spesa sostenuta.
“Ma perché non va bene il gelato al limone?”, chiese
a De Carli.
“Se vuole, gli rispose, provo a rifare il gelato e
poi a mescolarlo con la vodka e mi darà il suo parere.” E si mise a rifare il
“desgropante” con un gelato sempre al limone ma diverso dal precedente.
“Che proporzioni ci sono?”, chiese il proprietario.
“Due terzi di gelato al limone e un terzo di vodka,
se vogliamo un buon equilibrio queste sono le proporzioni!”, rispose.
Proprietari e direttore assaggiarono lentamente il
composto.
“Sa troppo di latte!” esclamò uno. “Se noi facessimo
un gelato con meno latte e più succo di limone, forse il risultato sarebbe
quello desiderato.”
“Domani, gli rispose De Carli, faremo il gelato come
dice lei e poi proveremo. Speriamo di non perdere un’altra giornata.”
L’indomani mattina un aiuto di cucina, che era stato
a lavorare come gelataio in Germania, fece del gelato al limone usando la minor
quantità di latte possibile. Una volto pronto, De Carli prese la sua ciotola e
una frusta, versò 2 bicchieri di gelato, uno di vodka e cominciò ad amalgamare
il composto. Una volta ottenutolo ne versò una parte in alcune flût e
cominciarono ad assaggiarlo.
“Ottimo!” esclamò il proprietario e anche suo
fratello, il direttore e lo stesso barman De Carli e altri collaboratori
presenti e tutti trovarono che il
“desgropante” da fine pasto così preparato era davvero eccellente.
“Visto cosa combina il latte? esclamò il
proprietario, che aggiunse: Avrà sicuramente successo anche se io gli
aggiungerei tre gocce di tequila. Sai, un tocco esotico, tra Russia e Messico!
Proviamo!”
De Carli fece come aveva proposto il proprietario,
amalgamò con la frusta al meglio e riprovarono a gustarlo.
“Bene, benissimo!”. Il direttore trovò che
realizzato in questo modo il desgropante avrebbe consentito di consumare in un
tempo ragionevole la gran quantità di vodka accatastata in cantina.
“E come lo chiamerebbe questo desgropante?” chiese
il direttore.
“Ci vuole un nome semplice, di impatto immediato,
che la gente ricordi senza fatica e poi ce lo richieda quando torna. Io, disse
il maggiore dei due proprietari, propongo “sgropin”, parola semplice, veneta,
facilmente ripetibile. Che ve ne pare?”
L’aveva detto il titolare, quindi andava bene così.
Qualche giorno dopo, quando in ristorante ci fu una
cena di gala e quel desgropante che De Carli chiamava desgropin e
il personale più semplicemente sgropin o anche sgroppino, fu
offerto a fine pasto a tutti i commensali, ricevette molti complimenti.
I titolari del ristorante che avevano accolto gli
ospiti al loro arrivo, a fine cena erano ancora alla porta per salutarli e
ascoltare i commenti.
“Ottima cucina, dicevano, pesce molto buono e piatti
tutti ben fatti. Piacevolissimo il digestivo, il vostro sgropin. Ci è
piaciuto e lo gusteremo ancora.”
Era l’autunno del 1978: a Gorgo al Monticano, in
provincia di Treviso, era nato un digestivo che in pochi anni si diffonderà
anche fuori del Veneto ed avrà varie interpretazioni.
Trent’anni dopo, il maggiore dei due fratelli,
seduto nella terrazza d’un suo altro ristorante, una villa patrizia veneziana
di grande fascino, anche questa restaurata quasi dalle fondamenta, ripensando
al suo sgropin che aveva ritrovato nei suoi viaggi anche in Svizzera e
in Germania, confidò a un amico: “A Villa Revedin la tequila è stata tolta
quasi subito, ma ho dovuto riscontrare in questi anni che altrove non si è
quasi mai badato alla qualità del gelato al limone e, in mancanza di vodka si è
ricorsi al Prosecco e, purtroppo, anche a spumantini dozzinali. Così va il
mondo, caro amico, ma sono contento lo stesso. Il vero sgropin lo si
gusta solo nei nostri ristoranti e dove operano persone che hanno collaborato
con noi e che non l’hanno voluto cambiare. Anche se il nome, più che il
contenuto, è ormai arrivato anche fuori dei confini europei.”