(breve sintesi storica a cura di Giampiero Rorato)
Lepido Rocco |
Dopo la caduta di Napoleone e il Congresso di Vienna, concluso nel 1815, Motta di Livenza, allora soltanto “Motta”, visse un periodo tranquillo, costretta all’indifferenza per quanto avveniva in altre parti d’Italia. A Motta non si sapeva né si parlava della Carboneria, poiché, come scrive Lepido Rocco, in Motta di Livenza e suoi dintorni, pubblicato sul finire dell’Ottocento, “l’Austria, impedendo le comunicazioni e i contatti, nascondendo o svisando le notizie politiche, riducendo questi abitanti in perfetto isolamento, palliando le sue misure precauzionali, era riuscita in parte nel suo intento.” E ciò accadde fino al 1830.
In quell’anno in Francia era salito al trono Luigi Filippo, che varò una nuova Costituzione fatta approvare dal Parlamento e adottò la Bandiera tricolore al posto di quella dei Borboni.
L’Austria, temendo nefaste influenze nel Lombardo-Veneto, aumentò il suo rigore che si fece sentire anche a Motta. Ciononostante anche a Motta arrivarono clandestinamente i primi numero del giornale di Giuseppe Mazzini, la Giovane Italia e subito dei cittadini mottensi giurarono di seguire l’insegnamento di Mazzini. Fra loro ci furono il dott. Giuseppe Lippi, il dott. Giuseppe Testa e il cancelliere Francesco Milani e la propaganda mazziniana, che invocava un’Italia “una, libera, indipendente e repubblicana”, cominciò a diffondersi nelle famiglie mottensi. A riunire la gioventù di Motta e dei paesi limitrofi e le persone più colte, soprattutto in incontri serali, facendo conoscere non solo la Giovane Italia e il programma patriottico di Mazzini, ma anche le poesie di Giovanni Berchet, ispirate all’amore di patria, furono in particolare due signore mottensi: Marianna Loro-Zannoner e Annetta Stroili-Sartori. Esse, pur in mezzo al rigorosissimo controllo della Polizia asburgica, andavano preparando le nuove coscienze mottensi, che erano pronte a impegnarsi appena se ne fosse presentata l’occasione.
Giovanni Berchet |
C’è un episodio che sottolinea la precisa scelta dei mottensi verso uno Stato unitario italiano. Dopo l’elezione di Pio IX, avvenuta il 16 giugno 1846, il quale aveva pronunciato le parole rimaste famose: Dio benedica l’Italia, numerosi mottensi andavano per la strada, pur sotto lo sguardo severo della Polizia austriaca, tenendo un tacchino sottobraccio, accarezzandolo e dicendo: caro pio, viva pio, benedetto pio (e Lepido Rocco ricorda che allora in zona il tacchino veniva chiamato “pio”). Proprio per richiamare l’auspicio unitario di papa Pio IX. Ci fu, allora, molto fermento in tutto il Lombardo-Veneto e l’imperatore Ferdinando per placare gli animi concesse all’inizio del 1848 l’amnistia, la costituzione e la guarda civica. La notizia giunse a Motta il 20 marzo e “tutto il paese – scrive Lepido Rocco – è parato a festa; da ogni finestra sventolano i tappeti; dappertutto canti, suoni e le più clamorose acclamazioni; ricchi e poveri fraternizzano; rivali e nemici di lunga data si stringono la mano, si danno il bacio dell’amicizia.”
Lo stesso giorno 20 marzo 1848 fu costituita la Municipalità provvisoria di Motta e la Guardia Civica e numerosi mottensi corrono ad iscriversi.
La Guardia civica, venne costituita da 450 cittadini, aveva come capi Giovanni Lippi col grado di colonnello; il dott. Luigi Giro, col grado di tenente colonnello; Basilio Baseggio maggiore e Domenico Loro capitano. I 450 cittadini erano divisi in nove compagnie, quattro formanti la Guardia attiva e cinque la Guardia stabile. Gli ufficiali della Guardia attiva erano: Giuseppe Massimo, Francesco Milani, Pietro Cavadin e Gaetano Cranio col grado di capitani; Ulderico Ravasin, Girolamo Cavadin, Giacomo Croato e Napoleone Argentino, tenenti in prima; Niccolò Braida, Ettore Etro, Angelo Molmenti e Angelo Cantarutti, tenenti in seconda. Gli ufficiali della Guardia stabile furono: dott. Giuseppe Testa, dott. Luigi Giro, Andrea Fonda e dott. Carlo Sotti, capitani; Giuseppe Galletti, Isidoro Doro, Michele Scarpa e Damiano Locatelli, tenenti in prima; Paolo secondo Loro, Antonio Girardini, Sante Scarpa di Michele, Gio. Batta Carminati e Melchiorre Zannoner, tenenti in seconda.
Si venne poi a sapere che a Treviso era stato istituito il Governo provvisorio, che Milano era insorta, che a Venezia era stata proclamata la Repubblica. Motta fu allora in grandissima festa e si formò subito il Corpo dei Crociati, comandati dai Capitani Michele Carretta e Antonio Loro, con l’ingegnere di campo Giovanni Lippi e i militi Gio Batta Astolfo, Gio. Batta Bertacco, Antonio Buran, Giovanni Burlina, Valentino Busenello, Pietro Carrer, Giovanni Carretta, Pietro Colauto, don Giampietro de Domini, Niccolò Filipputti, Luigi Fregonese, Antonio Ippolito, Carlo Lippi, Gio. Batta Loro, Lelio Loro, Giuseppe Manfrè, Giuseppe Martinelli, Giuseppe Meneghelli, Giacomo Palazzi, Luigi Pravato, Gio. Batta Prosdocimo, Francesco Ravasini, Antonio Rosani, Gio. Batta Rossetti, Pietro Saccaridi, Pietro Schiavinato, Domenico Sutto, Giuseppe Tagliapietra, Pietro Tagliapietra, Valentino Tonon, Domenico Visentin, Giuseppe Zago, Luigi Zago.
Protagonista eminente in questa fase fu il parroco del Duomo don Giampietro De Domini. Nativo di Orcenico in Friuli (oggi provincia di Pordenone), aveva insegnato filosofia nel Seminario di Concordia dal 1831 al 1841 e nel ’41 era stato eletto dai mottensi Arciprete di Motta, rimanendovi fino a dopo la prima guerra d’indipendenza. Raffinato filosofo rosminiano, fu autore di diversi studi filosofici, “i quali, come scrive Lepido Rocco, per la gravità degli argomenti, per la lucentezza dello stile, per la gaiezza delle immagini e per la squisitezza dei sentimenti ci sembrano pregevolissimi, e valgono certamente ad attestare la robustezza del suo ingegno e l’eccellenza del suo cuore.”
Padre Ugo Bassi |
e dei sacerdoti Moretti e Talamini, coraggiosi colleghi ed amici tuoi. Vorremmo rievocare quei giorni che, col grido sincero di Viva Pio IX, Viva l’Italia, benedicendo alla bandiera della Guardia Civica, invitavi i mottensi ad arruolarsi alla santa Crociata e li facevi entusiasti, e partivi poi con loro, combattendo in nome della religione e della patria.” E, ricordando gli altri patrioti mottensi il Rocco così scrive: “Vorremmo poter ridire le degne di ammirazione opere vostre, o valorosi, che insieme a lui [don De Domini] pugnaste al Ponte del Tagliamento, a Cornuda, al Piave, a Treviso, a Vicenza; e che militando poi nel glorioso battaglione dei Cacciatori del Sile, accorreste in soccorso dell’eroica Venezia, proclamatasi nuovamente Repubblica, dopo la infausta giornata di Custoza [27 luglio 1848] e lo scoraggiante armistizio di Salasco [9 agosto 1848, firmato con l’Austria a Vigevano dal gen. Carlo Canera di Salasco, per conto di Carlo Alberto e dal generale austriaco von Hess], e risoluta a difendersi fino all’estremo.
Il Forte di Treporti |
Basterebbero queste notizie per mostrare quale amor di Patria, amore per una nuova Italia, unita dall’Alpi alla Sicilia, ardeva nel nobile petto dei mottensi d’allora!
Nei mesi e negli anni successivi l’esercito invasore spogliò Motta affermando d’aver bisogno di tutto quello che trovava.
I soprusi non cessarono e una notte del 1851 i soldati austriaci arrestarono e condussero a Treviso il mottense Michele Carretta, già Capitano della IV Compagnia dei Cacciatori del Sile, accusandolo d’essere stato fra coloro che parteciparono il 10 maggio ’48 al massacro del conte Francesco Scapinelli, governatore di Reggio, del dott. Andrea Disperati, direttore generale della Polizia a Modena e di Antonio Prato, negoziante di Este. Carretta non centrava per nulla trovandosi in tutt’altro luogo, ma fu ugualmente condannato a otto anni di carcere, nonostante fosse del tutto estraneo ed innocente, Nel 1861, come scrive il Rocco, “Divenuta libera l’Italia, gli fu fatta giustizia, e fu nominato ufficiale nell’esercito regolare col grado di Tenente, e gli fu più tardi assegnata una pensione: limitata, ma opportuna riparazione a tanti patimento!”
Il 1859: seconda guerra di indipendenza
Quando il 10 gennaio 1859 Vittorio Emanuele II nel discorso di apertura della Camera, a Torino, affermò:“Confortati dalla speranza del passato, andiamo incontro risoluti all’eventualità dell’avvenire…. Non siamo insensibili al grido di dolore che da tante parti si leva verso di noi…” quelle parole, conosciute anche a Motta, diedero nuovo slancio al patriottismo dei mottensi e, per timore di una qualche insurrezione, l’Austria inviò subito a Motta un apposito Commissario per soffocare ogni possibile fermento. Ma i mottensi si organizzarono in segreto e con i reduci delle battaglie del 1848-49 partirono per il Piemonte. A pagare il viaggio di parecchi di loro fu Gio. Batta Loro e, fra i tanti altri, partirono Alessandro Burlina, capitano; Vincenzo e Valerio Argentin; Giovanni Bassanese; Angelo, Carlo Antonio e Domenico Bertoni; Giovanni De Alti; il conte Carlo Frattina; Luigi Gasparinetti; Benedetto, Domenico, Gio. Batta e Luigi Loro; Gaetano Pellegrini; Andrea Rolla; Carlo Sartori; Luigi Tolfo e Domenico Zannoner. Alcuni si arruolarono nel Corpo dei Cacciatori delle Alpi con Garibaldi e altri nell’esercito regolare piemontese.
Ancora una volta il loro eroismo fu reso vano dall’armistizio di Villafranca [11 luglio 1859], imposta ai Piemontesi da Napoleone III. Non tutti i volontari mottensi tornarono a casa: il capitano Alessandro Burlina e Gaetano Pellegrini rimasero in Piemonte, aggregati all’esercito regolare e l’ingegnere Giuseppe Lippi, nato a Motta il 24 agosto 1837, rimase con Garibaldi, in attesa di salpare da Quarto con altri Mille verso la liberazione del Sud Italia dai Borboni.
A loro si unì subito un altro giovane mottense, Pilade Tagliapietra, nato a Motta l’11 novembre 1936, poi caduto in combattimento a Reggio Calabria il 21 agosto 1960.
Il 7 giugno si sparge a Motta la notizia che il giorno prima era morto Camillo Benso, conte di Cavour, uno degli artefici delle guerre risorgimentali per l’unificazione dell’Italia e mentre in piazza la banda austriaca tiene un festoso concerto, si alzano dalla popolazione grida di disapprovazione e nasce spontanea una dimostrazione di protesta.
Scrive Lepido Rocco: “Si chiudono i negozi, si serrano le botteghe, i caffè, le osterie; ognuno si ritira nella propria abitazione; si chiudono le porte, si chiudono i balconi, si cessa da ogni movimento: le note [della banda austriaca] si diffondono come in un paese deserto e la festa dei soldati [austriaci] pare festa di cimitero! La dimostrazione dei mottensi è vivamente commentata in tutti i dintorni. Il generale Castiglioni, residente in Oderzo, inviperito per l’offesa recata alle sue truppe, volendo soddisfazione, minaccia di mandarvi i propri soldati a molestare il paese, a saccheggiarlo. Motta sta per passare un triste momento.”
Fortunatamente non succede nulla per l’intelligenza del commissario Zaramella, che si limita a chiamare in Commissariato Antonio Monticano e le signore Lauretana Loro e Adele Gini, ma le tratta con ogni riguardo e la cosa finisce lì.
Il 16 giugno 1866 la Prussia entra in guerra con l’Austria e quest’ultima è costretta a sguarnire il fronte italiano e appena la notizia giunge a Motta, “ecco un’eletta schiera di giovani di Motta – scrive Lepido Rocco – volare a raggiungere le bandiere dell’esercito italiano, o a raccogliersi sotto il vessillo del glorioso duce dei volontari [Giuseppe Garibaldi]. “
Con Garibaldi si arruolano: Gio. Batta Argentino, Angelo Bertoni, Alessandro Callegari, Basilio Carretta, Giovanni Covra, Gaetano Cranio, Vincenzo De Domini, il conte Carlo Frattina, Bortolo Franchi, Corrado Gini, Antonio Girardini, Antonio Golo, Giovanni Manfrè, Francesco Molmenti, Alessandro Ortica, Luigi Pravato, Geremia Rocco, Antonio Toffolo e Giacomo Visentin.
Questi volontari, uniti agli altri garibaldini e guidati dal loro eroe, il grande italiano Giuseppe Garibaldi, si spingono fin nel Tirolo e vincono contro gli austriaci e poi a Monte Suello, a Landrone, a Darso, a Condino e a Bezzeca.
Questa località, frazione del comune di Ledro in provincia di Trento, il 21 luglio 1866 fu teatro della famosa battaglia di Bezzecca, nella quale i garibaldini del Corpo Volontari Italiani di Giuseppe Garibaldi respinsero un massiccio attacco austriaco. Nella battaglia, come scrive Lepido Rocco, “vi cadeva trafitto da palla nemica, quasi a consacrare col suo sangue il nostro diritto, il più fiero, il più tenace nella resistenza, il più audace dell’eletta schiera dei volontari mottensi, il generoso conte Carlo Frattina. Nel 1870, inaugurando a Motta un monumento all’eroico patriota, l’avv. Giuseppe Valerio Bianchetti, garibaldino e con lui a Bezzeca, esclamava: “E tu eri bello, eri giovane, eri forte, o conte Carlo Frattina. La fortuna ti era stata prodiga di suoi favori, Apollo ed Ercole parevano fusi in te; e pur moristi! Permettetemi questo sfogo del cuore! Egli mi fu compagno, fratello negli studi, nelle pugne, nell’esilio, egli mi cadde al fianco, fulminato nel capo dal piombo straniero, mormorava due nomi, quello dell’Italia e quello della fanciulla amata! Ora le sue ossa riposano nel campo santo di Bezzeca; pesta il tedesco le zolle su cui sparse il suo sangue, e la vecchia sua madre, guardando al luogo ov’egli a mensa sedea, rivolge il suo viso languido!”
Ricorda ancora per noi Lepido Rocco: “A Levico, sotto il generale Medici col capitano Galeazzi guadagnasi la medaglia d’argento al valor militare il coraggioso mottense Luigi Pravato, uno dei volontari reduci dalle battaglie del 1848-49, che nel 1859 si trovò arruolato di leva nel corpo austriaco e che nel 1866 non volle mancare all’ultimo appello della patria.”
E quando, il 12 agosto del 1866 cessarono le ostilità con l’armistizio di Cormons e col trattato di Vienna del seguente 3 ottobre il Veneto passò al Regno d’Italia “gli animi dei mottensi poterono finalmente aprirsi alla gioia: il sospirato giorno della liberazione dallo straniero era finalmente arrivato!.
Ecco, in breve, una gloriosa pagina di storia mottense, ampiamente sufficiente a mostrare l’amore di Motta e dei suoi abitanti per la Patria italiana, mai scalfito, se non da qualche inconsapevole ignorante, ma sempre vivo nel cuore dei migliori cittadini che, a distanza di 150 anni auspicano un’Italia migliore, più seria, più autorevole, più ascoltata com’è stata l’Italia dell’immediato ultimo dopoguerra, quando, pur sconfitta, fu accolta con Alcide De Gasperi al tavolo della pace con giusto rispetto e poi onorata da stima e collaborazione internazionale tanto che in pochi anni divenne una delle maggiori potenze economiche del mondo. Ed è per un’Italia così che combatterono e morirono gli eroi mottensi del Risorgimento italiano.