Dall’antica vite labrusca diffusa in Etruria a vini
ancora senza nome
La Vite Labrusca |
L’interessante Museo Archeologico di Scansano offre
una ricca visione d’insieme della viticoltura in età etrusca
di Giampiero Rorato
Gli storici moderni, nell’indagare
sulla vita delle antiche popolazioni, uniscono informazioni che ottengono da
più settori di ricerca: archeologia, botanica, biologia, pitture e arredi funerari,
poemi, documenti scritti sia diretti che indiretti e, con questa metodologia,
si ottengono informazioni prima ignorate e rimaste sconosciute o, comunque, trascurate
fin quasi ai nostri giorni.
E così, grazie a questi studi
moderni, a cominciare dal Progetto “Vinum” del 2004, come anche da quanto si
trova ottimamente esposto nell’interessante Museo Archeologico e della Valle
del Vino Etrusco a Scansano (GR), sappiamo non solo, come già da secoli, che
gli Etruschi erano gran bevitori di vino – si vedano, ad esempio, gli affreschi
della Tomba dei Leopardi (473 a.C.) di Monterozzi a Tarquinia (Viterbo) – ma
pure, anche se ancora non il nome, la tipologia e la derivazione del vino degli
Etruschi.
Ceramica etrusca nel museo di Scansano (GR) |
La nostra veloce ricerca inizia
dalla lettura della V Egloga delle Bucoliche (componimenti poetici a tema
campestre) del poeta latino Publio Virgilio Marone (Mantova 70 a.C.- Brindisi
19 a.C.), dove, nei versi 7-8 il pastore Mopso dice all’amico Menalca: “Aspice ut antrum silvestris
raris sparsit labrusca racemis” (Guarda
come la vite selvatica labrusca ha diffuso sull’ingresso della grotta i suoi
pochi grappoli).
Per
capire da che tipo di vite gli Etruschi - vissuti tra il X e il I sec. a.C,.
quando furono assorbiti dai Romani - ricavavano il loro vino, il modo migliore è
di visitare le aree abitate un tempo da questa antica popolazione italica ed è
così che, focalizzando l’attenzione sul tema “vite-vino”, gli studiosi hanno
esaminato dei vinaccioli fossili trovati nelle loro tombe. La scoperta è stata
sorprendente, poiché alcuni vinaccioli, appartenenti alla “vitis silvestris”
cioè selvatica, risultarono risalenti alla media età del bronzo (2000-1550
a.C), mentre altri, ad essi associati, risultarono abbastanza simili alla
cosiddetta “vitis vinifera” cioè la vite non più selvatica ma coltivata.
Era quindi
realistica l’indicazione del pastore Mopso, prima ricordata, che definiva la
vite che ombreggiava l’ingresso della grotta come “labrusca”, precisando che si
trattava di una vite selvatica.
Ed è da queste viti, le “labrusche”, che
crescevano spontanee nella terra degli Etruschi, ai margini dei terreni coltivati,
dove c’erano gli immondezzai dell’abitato, che gli antichi abitanti
dell’Etruria iniziarono il lavoro di domesticazione allo scopo di poter
raccogliere (vendemmiare) dalle loro viti grappoli più numerosi, più grandi e
più belli, con acini più ricchi di succo.
E non ci misero molto a capire
l’importanza e, quindi, la convenienza di selezionare le piante migliori,
coltivarle fuori dal bosco in appositi filari, moderarne lo sviluppo, potarle
annualmente e operare successivamente degli incroci fra viti diverse (anche con
le “viti vinifere” da poco arrivate dalla Grecia nell’Italia meridionale) e tutto
questo avvenne nel corso della seconda parte del primo millennio a.C.
Letti i
versi di Virgilio sopra riportati, trovati nelle tombe vinaccioli di vite
selvatica e poi di vite coltivata, è stato importante vedere se, per caso,
nelle zone dove risiedevano gli Etruschi, c’erano ancora delle viti labrusche e
in quali condizioni si trovassero.
E le ricerche hanno dato esiti molto
soddisfacenti in comune di Scansano, nella Maremma grossetana, al centro
d’un’area collinare ancor oggi ricca di reperti etruschi.
Nel
territorio del comune di Scansano, in località Ghiaccio Forte – sito rimasto quasi
intoccato nel tempo - all’inizio del IV sec. a.C gli Etruschi eressero su una
doppia collina una città fortificata in un luogo già da loro abitato almeno da
due secoli, dedicandosi anche alla coltivazione dei campi. Gli scavi
archeologici avvenuti nel corso del tempo hanno fatto emergere anche degli orci
(doli) da vino e da olio, come anche brocche e coppe. E tutto questo si trova
nel ricordato Museo di Scansano – comune dove si produce l’ottimo Morellino –
un museo di grandissimo interesse che ho recentemente visitato con la
straordinaria guida di Francesca Paris.
Vitigni di Morellino di Scansano |
Quello tuttavia che più ha colpito i
ricercatori – archeologi, botanici e biologi uniti nella ricerca – è stata la
scoperta di vecchie piante di vite silvestre, la “labrusca”, appunto, che
crescono appoggiate ad alti alberi tutori. Sono poi state scoperte lì intorno, nella
campagna, delle viti autoctone – quindi non di derivazione orientale – assieme
a ulivi secolari, entrambi testimoni di una storia e di una evoluzione che hanno
caratterizzata il millennio di vita degli Etruschi.
Ma che
vino bevevano?
Gli
studiosi hanno attentamente indagato sull’evoluzione delle viti trovate in
territorio etrusco e sulle parentele con altri vitigni dell’area mediterranea,
del Vicino Oriente e del Centro Europa e non si sono occupati dei possibili
nomi delle nuove viti frutto delle molteplici selezioni e incroci operati nel
corso del tempo, ma fin qui tutto lascia pensare che gli Etruschi abbiano
selezionato le viti selvatiche nate spontaneamente nel loro territorio come le
altre piante, abbiano scelte quelle che a loro sembravano più adatte a produrre
grappoli più grandi con acini più dolci per ottenere un vino sempre migliore.
Tomba etrusca |
Che
poi abbiano operato degli incroci fra cloni di diversa origine e coltivato con
perizia le nuove piante, ottenendo dei vini diversi dai precedenti, è cosa già
verificatasi in altre aree, allora come anche oggi. Così operando, gli Etruschi,
che pur non possedevano la cultura enologica dei Romani, hanno sicuramente
ottenuto in modo autonomo sia vini bianchi che rossi (anche Plinio, NH, XII,
132-33, parla di labrusca bianca e nera) adatti a impreziosire i loro simposi,
anche se fin qui – non essendo ancora riusciti a decifrare la loro scrittura - non
sappiamo i nomi che hanno dato a quei loro vini.
Ma,
intanto, sappiamo da che piante sono stati prodotti e in che modo quelle loro
viti si siano evolute nel corso del tempo, la qual cosa rappresenta un passo
importante per chi ama conoscere la lunga storia italiana della vite e del
vino.
Tomba dei Leopardi |