mercoledì 18 dicembre 2013

Il Vino degli Etruschi

Dall’antica vite labrusca diffusa in Etruria a vini ancora senza nome

La Vite Labrusca


L’interessante Museo Archeologico di Scansano offre una ricca visione d’insieme della viticoltura in età etrusca

di Giampiero Rorato

Gli storici moderni, nell’indagare sulla vita delle antiche popolazioni, uniscono informazioni che ottengono da più settori di ricerca: archeologia, botanica, biologia, pitture e arredi funerari, poemi, documenti scritti sia diretti che indiretti e, con questa metodologia, si ottengono informazioni prima ignorate e rimaste sconosciute o, comunque, trascurate fin quasi ai nostri giorni.


E così, grazie a questi studi moderni, a cominciare dal Progetto “Vinum” del 2004, come anche da quanto si trova ottimamente esposto nell’interessante Museo Archeologico e della Valle del Vino Etrusco a Scansano (GR), sappiamo non solo, come già da secoli, che gli Etruschi erano gran bevitori di vino – si vedano, ad esempio, gli affreschi della Tomba dei Leopardi (473 a.C.) di Monterozzi a Tarquinia (Viterbo) – ma pure, anche se ancora non il nome, la tipologia e la derivazione del vino degli Etruschi.

Ceramica etrusca nel museo di Scansano (GR)


La nostra veloce ricerca inizia dalla lettura della V Egloga delle Bucoliche (componimenti poetici a tema campestre) del poeta latino Publio Virgilio Marone (Mantova 70 a.C.- Brindisi 19 a.C.), dove, nei versi 7-8 il pastore Mopso dice all’amico Menalca: “Aspice ut antrum silvestris raris sparsit labrusca racemis” (Guarda come la vite selvatica labrusca ha diffuso sull’ingresso della grotta i suoi pochi grappoli).

Per capire da che tipo di vite gli Etruschi - vissuti tra il X e il I sec. a.C,. quando furono assorbiti dai Romani - ricavavano il loro vino, il modo migliore è di visitare le aree abitate un tempo da questa antica popolazione italica ed è così che, focalizzando l’attenzione sul tema “vite-vino”, gli studiosi hanno esaminato dei vinaccioli fossili trovati nelle loro tombe. La scoperta è stata sorprendente, poiché alcuni vinaccioli, appartenenti alla “vitis silvestris” cioè selvatica, risultarono risalenti alla media età del bronzo (2000-1550 a.C), mentre altri, ad essi associati, risultarono abbastanza simili alla cosiddetta “vitis vinifera” cioè la vite non più selvatica ma coltivata.

Era quindi realistica l’indicazione del pastore Mopso, prima ricordata, che definiva la vite che ombreggiava l’ingresso della grotta come “labrusca”, precisando che si trattava di una vite selvatica. 

Ed è da queste viti, le “labrusche”, che crescevano spontanee nella terra degli Etruschi, ai margini dei terreni coltivati, dove c’erano gli immondezzai dell’abitato, che gli antichi abitanti dell’Etruria iniziarono il lavoro di domesticazione allo scopo di poter raccogliere (vendemmiare) dalle loro viti grappoli più numerosi, più grandi e più belli, con acini più ricchi di succo. 

E non ci misero molto a capire l’importanza e, quindi, la convenienza di selezionare le piante migliori, coltivarle fuori dal bosco in appositi filari, moderarne lo sviluppo, potarle annualmente e operare successivamente degli incroci fra viti diverse (anche con le “viti vinifere” da poco arrivate dalla Grecia nell’Italia meridionale) e tutto questo avvenne nel corso della seconda parte del primo millennio a.C.
Letti i versi di Virgilio sopra riportati, trovati nelle tombe vinaccioli di vite selvatica e poi di vite coltivata, è stato importante vedere se, per caso, nelle zone dove risiedevano gli Etruschi, c’erano ancora delle viti labrusche e in quali condizioni si trovassero. 

E le ricerche hanno dato esiti molto soddisfacenti in comune di Scansano, nella Maremma grossetana, al centro d’un’area collinare ancor oggi ricca di reperti etruschi.


Nel territorio del comune di Scansano, in località Ghiaccio Forte – sito rimasto quasi intoccato nel tempo - all’inizio del IV sec. a.C gli Etruschi eressero su una doppia collina una città fortificata in un luogo già da loro abitato almeno da due secoli, dedicandosi anche alla coltivazione dei campi. Gli scavi archeologici avvenuti nel corso del tempo hanno fatto emergere anche degli orci (doli) da vino e da olio, come anche brocche e coppe. E tutto questo si trova nel ricordato Museo di Scansano – comune dove si produce l’ottimo Morellino – un museo di grandissimo interesse che ho recentemente visitato con la straordinaria guida di Francesca Paris. 

Vitigni di Morellino di Scansano


Quello tuttavia che più ha colpito i ricercatori – archeologi, botanici e biologi uniti nella ricerca – è stata la scoperta di vecchie piante di vite silvestre, la “labrusca”, appunto, che crescono appoggiate ad alti alberi tutori. Sono poi state scoperte lì intorno, nella campagna, delle viti autoctone – quindi non di derivazione orientale – assieme a ulivi secolari, entrambi testimoni di una storia e di una evoluzione che hanno caratterizzata il millennio di vita degli Etruschi.
Ma che vino bevevano?

Gli studiosi hanno attentamente indagato sull’evoluzione delle viti trovate in territorio etrusco e sulle parentele con altri vitigni dell’area mediterranea, del Vicino Oriente e del Centro Europa e non si sono occupati dei possibili nomi delle nuove viti frutto delle molteplici selezioni e incroci operati nel corso del tempo, ma fin qui tutto lascia pensare che gli Etruschi abbiano selezionato le viti selvatiche nate spontaneamente nel loro territorio come le altre piante, abbiano scelte quelle che a loro sembravano più adatte a produrre grappoli più grandi con acini più dolci per ottenere un vino sempre migliore. 

Tomba etrusca


Che poi abbiano operato degli incroci fra cloni di diversa origine e coltivato con perizia le nuove piante, ottenendo dei vini diversi dai precedenti, è cosa già verificatasi in altre aree, allora come anche oggi. Così operando, gli Etruschi, che pur non possedevano la cultura enologica dei Romani, hanno sicuramente ottenuto in modo autonomo sia vini bianchi che rossi (anche Plinio, NH, XII, 132-33, parla di labrusca bianca e nera) adatti a impreziosire i loro simposi, anche se fin qui – non essendo ancora riusciti a decifrare la loro scrittura - non sappiamo i nomi che hanno dato a quei loro vini.


Ma, intanto, sappiamo da che piante sono stati prodotti e in che modo quelle loro viti si siano evolute nel corso del tempo, la qual cosa rappresenta un passo importante per chi ama conoscere la lunga storia italiana della vite e del vino.

Tomba dei Leopardi