Una recente scoperta di anfore vinarie
risalenti al 1700 a .C.
ci informa sulle tipologie di vino delle epoche più antiche
di Giampiero Rorato
La scoperta è di quelle che
cambiano la storia dell’enologia o, meglio, aggiunge delle nuove, preziose informazioni
che migliorano e arricchiscono la conoscenza della storia della vite e del vino
e delle tecniche relative alla produzione e conservazione del vino nei tempi
antichi.
Già si sapeva che, almeno fino a qualche secolo fa – a volte anche
più recentemente – il vino era sofisticato, quindi non puro, ma come fosse
esattamente nell’antichità lo si ipotizzava senza averne chiaramente le prove.
Recentemente, nella parte
settentrionale della Terra di Canaan,nei sotterranei di un palazzo della città
di Nahariya, nel nord dello Stato di Israele, a metà strada tra Haifa e il
confine col Libano, lungo la costa del Mar Mediterraneo e precisamente nel sito
archeologico di Tel Kabri, sono state trovate 40 enormi giare vinarie della
capacità di circa 2000
litri ciascuna, che risalgono a ben 3.700 anni fa. A
trovarle sono stati l’archeologo Andrew Koh della Brandeis University che ha sede a Waltham, nel Massachusetts, circa 15 km a ovest di Boston, a Eric Cline della George Washington University e
Assaf Yasur-Landau dell’Haifa University in Israele.
Aperte
quelle anfore, sistemate in un vano adibito a deposito di forma rettangolare
(7,5 x 4,5 metri
circa) e assaggiato il vino, tutto della stessa tipologia, quegli archeologi e
poi altri esperti americani hanno trovato che si trattava di un vino molto
complesso, con sapore di menta, cedro, miele, resina e cannella. Dentro il vino
c’erano dunque miele, cannella e vari
tipi di frutta ed erbe aromatiche, sia per rendere più dolce il vino.
Successivamente, analizzando i residui organici di cui sopra, sono state
trovate tracce di acido tartarico e acido siringico, oltre a residui di miele,
menta, cannella, resine e bacche di ginepro, usate in quei lontani tempi oltre
che come dolcificante, come conservanti del vino stesso per combattere i
batteri nocivi, una miscela che veniva suggerita nell’antico Egitto per la
produzione di vini terapeutici (medicinali).
Che
Gesù alle nozze di Cana abbia bevuto questo tipo vino? Quello trovato risale a
ben 1700 anni prima di Cristo, quando ancora il territorio non era occupato dai
figli di Giacobbe e dai loro discendenti, per cui la domanda resta senza una
precisa risposta, anche se si sa che anche ai tempi di Gesù si amava il vino
dolce. Infatti anticamente i vini erano tutti dolci, piacevano così e si
riusciva a conservarli, come ci è confermato dai più antichi vini prodotti nel
Mediterraneo. Si pensi, per esempio, al Moscato di Pantelleria.
Il vino di Esiodo
Il
poeta greco più antico, vissuto all’inizio del 7° sec. a.C, Esiodo, così
insegnava agli agricoltori suoi contemporanei come produrre il vino:
Quando Orione e Sirio son giunti a mezzo
del cielo, e Arturo può esser visto da
Aurora dalle dita di rosa,
o Perse, allora tutti i grappoli cogli e
portali in casa.
Tienili al sole per dieci giorni e dieci
notti;
per cinque conservali all'ombra, al sesto
versa nei vasi
i doni di Dioniso giocondo.
Questo
passo, tratto dall’opera sua più famosa, “Opere e giorni”, ci dice che 2.700
anni fa i vignaioli faceva appassire
l’uva prima di pigiarla, ottenendo un vino naturalmente dolce. In verità questo
vino passito, molto dolce, veniva poi aggiunto al vino base, ottenendo comunque
un vino dolce (questo metodo si usa ancor oggi in diverse parti d’Italia).
Il
vino ora scoperto, prodotto mille anni prima delle indicazioni del poeta
Esiodo, fa risalire a molto più indietro le nostre conoscenze enologiche.
È
vero che qualche anno fa è stata scoperta in Irak un’anfora contenente dei
residui di vino risalenti a 6.000 anni fa ed anche in quel caso il liquido contenuto
nell’anfora non proveniva solo dall’uva, ma anche da altra frutta, tuttavia una
cantina ricolma d’anfore ripiene di vino come quella israeliana non era mai
stata ancora trovata.
Dalla Georgia ai nostri giorni
Gli
studiosi ritengono che la terra originaria del vino sia tra la Georgia e l’Armenia, come
racconta la Bibbia
a proposito di Noè che, sceso dall’arca al termine del diluvio, piantò un
alberello di vite, facendo diffondere in quei luoghi, sul versante
settentrionale del Monte Ararat, la vitivinicoltura.
In quei tempi preistorici, come ricordano gli
studiosi, al mosto venivano normalmente aggiunte spezie e frutta, come
conservanti e aromatizzanti e anche come antisettici proprio come il vino trovato
a Nahariya. Gli Assirobabilonesi, a loro volta, aggiungevano miele e mosto
cotto per bloccare la fermentazione e lo facevano coscientemente per
conservarlo a lungo, visto che così operando bloccavano la fermentazione e
rimaneva dolce.
In
altre aree si aggiungeva al mosto o anche al vino già fermentato delle susine
mature, poi albicocche, pere, mele e la recentissima importante scoperta ce ne
dà ampia conferma.
È
comunque di straordinaria importanza la scoperta di queste 40 grandi giare
vinarie che ci conferma non solo che il vino ha una storia plurimillenaria che
meriterebbe conoscere meglio, ma che la vite era diffusa in tutto il Vicino
Oriente alcuni millenni prima di Cristo, anche se poi, in alcuni Paesi questa
pianta straordinaria è stata sradicata e distrutta dai seguaci di Maometto.