Una
riflessione di Giampiero Rorato
C’è
un piccolo angolo della grande Europa, un minuscolo braccio di mare circondato
da terre abitate da epoche immemorabili, verso il quale negli ultimi tempi
l’attenzione degli osservatori, degli storici, dei politici e della stessa
stampa internazionale s’è fatta scarsa o del tutto assente, come se questa
parte d’Europa non abbia peso politico o culturale, oppure ne abbia pochissimo,
per cui non conviene proprio perderci tempo. Ad occuparsene sono invece piccoli
gruppi di abitanti del posto, più mossi da minuscole questioni interne e da
meschine e incomprensibili rivendicazioni,
che da un serio e intelligente respiro europeo.
Ma, se ancora succede
che l’attenzione di qualche osservatore internazionale si volga da questa parte,
capita pure che quasi sempre si fermi, a seconda delle circostanze, verso l’una
o l’altra delle sue sponde, quasi fossero mondi separati, e sempre più
raramente si preoccupi dell’insieme e delle vicende comuni e di quei sottili
eppur tenaci legami che invece collegano da sempre le due coste. Per questi
motivi sta entrando anche nella coscienza di chi vi abita la convinzione di
vivere in mondi totalmente divisi e diversi, lontanissimi l’uno dall’altro per
storia, cultura e civiltà.
Venezia, ponte Degli Scalzi |
Quest’angolo
attualmente quasi trascurato è l’alto Adriatico, uno spazio geograficamente
proprio piccolo, ma parte integrante del grande Mediterraneo, che è il luogo
nativo della civiltà occidentale e, crediamo, snodo obbligato dei futuri
destini dell’Europa, oltreché del vicino Oriente e dell’Africa Settentrionale.
È una ridotta porzione d’Europa, è vero, ma che condensa in sé millenni di
storia e vi si trovano luoghi cui la civiltà occidentale deve molto.
Il braccio
di mare che collega quest’arco di terre ha avuto nel corso del tempo nomi
diversi: Gaio Plinio Secondo lo chiama sinus
adriaticus, golfo Adriatico e i
Romani anche Mare Superum e Mare Nostrum e, mille anni dopo, si
tornerà a chiamarlo golfo e più precisamente golfo di Venezia, quando la città che conserva le spoglie di san
Marco si presenta come l’ideale capitale del mondo nell’età di mezzo. Proprio
negli stessi anni, subito dopo il Mille, il re croato Krešimir lo chiama Mare nostrum Dalmaticum, impropriamente
tradotto, in anni a noi vicinissimi, in Mare
nostrum Croaticum. Questo golfo che arriva fino a Ragusa e alle bocche di
Cattaro e ancora più in giù, fino a Otranto, al pari del Mediterraneo non è
solo geografia. Attorno ad esso sono nati miti, storie e leggende, e ancora,
come puntualmente ricorda Predrag Matvejević, il più acuto studioso del
Mediterraneo e delle civiltà che l’attorniano, la diplomazia moderna e la
civiltà europea della tavola (e non solo questa); si sono incontrati e fusi in
un crogiolo promotore di nuova civiltà apporti provenienti dalla Grecia, da
Bisanzio, dal Catai, dal mondo arabo, dall’Africa, dalle lontane Americhe e dal
resto d’Europa, compresa la
Russia , alimentando in modo del tutto nuovo e originale la
vita non solo dell’Europa ma dell’intero Occidente.
Non si può dimenticare che
lungo le coste del Mediterraneo, di cui l’Adriatico è parte significativa,
«passava - come puntualmente annota Matvejević - la via della seta,
s’incrociavano le vie del sale e delle spezie, degli oli e dei profumi,
dell’ambra e degli ornamenti, degli attrezzi e delle armi, della sapienza e
della scienza. Gli empori greci erano a un tempo mercati e ambasciate. Lungo le
strade romane si diffondevano il potere e la civiltà. Dall’Asia sono giunti i
profeti e le religioni. Sul Mediterraneo è stata concepita l’Europa».
Molo Audace a Trieste |
Nei
tempi antichi, dunque anche i miti hanno trovato spazio in questo minuscolo
angolo del pianeta, come quello che racconta l’origine delle isole Apsirtidi,
nel golfo del Quarnaro e l’altro che ricorda la tragedia del bellissimo
Fetonte, che aveva fatto innamorare di sé Afrodite, la dea dell’amore e questa
è ricchezza che unisce, assieme ad altre eredità, l’alto Adriatico alla Grecia
e all’Oriente, terre native dei miti, i quali sono storie tutt’altro che
fantasiose, svelando spesso verità non altrimenti conoscibili o raccontabili.
Nel nostro caso essi collocano biografie individuali e collettive in una
cornice che racchiude in sé il volere degli dei, i desideri e le speranze degli
uomini e l’esplodere di sentimenti che uniscono gli abitanti dell’Olimpo e
della terra: l’amore e l’odio, l’ardire e la sfida, la passione e il
tradimento, il dolore e la disperazione.
Il mito ci assicura poi che nella lontana preistoria quest’angolo di mare è stato sorvolato da giovani coraggiosi, come Fetonte, e percorso da eroi che non hanno più fatto ritorno alla loro terra d’origine, come Diomede e Antenore, i quali hanno terminato i loro giorni lungo la frangia lagunare altoadriatica e precisamente nella Henetiké. Questa è la terra conquistata, oltre tre millenni or sono, dai Veneti giunti dalla Paflagonia e approdati alle coste settentrionali dell’Adrias, il mare che prende il nome dalla città di Adria che per lungo tempo è stato il polo terminale delle rotte marine e delle vie carovaniere che collegavano l’Europa settentrionale all’alto Adriatico. Strade spesso impervie, specie nei mesi invernali, percorse dagli antichi mercanti che passavano le Alpi per il Brennero o il Resia per seguire poi il percorso dell’Adige e giungere ad Adria e al delta del Po; oppure, provenienti dall’Europa centro-orientale, dalla Pannonia e dall’area danubiana, attraverso la valle della Drava, prendevano la valle del Gail, superavano le Alpi alla Sella di Camporosso e, seguendola Valle del Ferro, scendevano
alla pianura, per dirigersi ad Adria lungo le antichissime piste tracciate nel
folto della Silva Magna; o ancora oltrepassavano le Alpi orientali lungo la
valle dell’Isonzo per scendere verso il Timavo e giungere sempre ad Adria
seguendo la gronda lagunare. Quest’ultimo percorso carovaniero è stato chiamato
anche via argonautica, poiché, lungo
l’asse della Drava e del Danubio, di recente nuovamente rivalutato e riproposto
dagli esperti dei grandi traffici commerciali internazionali, si può giungere
al Mar Nero e alle sponde caucasiche, da dove ebbe inizio il viaggio di ritorno
di Giasone e dei suoi compagni.
Il mito ci assicura poi che nella lontana preistoria quest’angolo di mare è stato sorvolato da giovani coraggiosi, come Fetonte, e percorso da eroi che non hanno più fatto ritorno alla loro terra d’origine, come Diomede e Antenore, i quali hanno terminato i loro giorni lungo la frangia lagunare altoadriatica e precisamente nella Henetiké. Questa è la terra conquistata, oltre tre millenni or sono, dai Veneti giunti dalla Paflagonia e approdati alle coste settentrionali dell’Adrias, il mare che prende il nome dalla città di Adria che per lungo tempo è stato il polo terminale delle rotte marine e delle vie carovaniere che collegavano l’Europa settentrionale all’alto Adriatico. Strade spesso impervie, specie nei mesi invernali, percorse dagli antichi mercanti che passavano le Alpi per il Brennero o il Resia per seguire poi il percorso dell’Adige e giungere ad Adria e al delta del Po; oppure, provenienti dall’Europa centro-orientale, dalla Pannonia e dall’area danubiana, attraverso la valle della Drava, prendevano la valle del Gail, superavano le Alpi alla Sella di Camporosso e, seguendo
Dubrovnik, città vecchia |
È
forse poco tutto questo per sentirci invitati ad iniziare una riflessione sulla
storia passata, le vicende attuali e le prospettive di questi luoghi?
Gettando
lo sguardo sulle isole dell’antico mito di Apsirti, poste sul braccio di mare
racchiuso fra la costa settentrionale dalmata e la penisola istriana, viene
intanto spontaneo definirle naturali,
predominandovi tutt’oggi una natura incontaminata, dove i castellieri preistorici
si guardano ancora l’un l’altro dalle morbide cime dei colli; dove le pecore
vagano brucando tra le masiere, i
muri a secco che delimitano le proprietà, racchiudendo particelle coltivate a
olivo; dove regna la macchia mediterranea e cresce infestante il ginepro; dove
a primavera le ginestre tappezzano di giallo le rive che degradano verso il
mare; dove abbondano il fico e il ciliegio; dove chi passa sente forte, assieme
al profumo salmastro del mare, quello resinoso dei pini e degli abeti e ancora quelli
ovunque presenti dell’artemisia marittima, della mentuccia, del finocchio e
dell’origano selvatici, del timo, della salvia e del rosmarino.
Qui e altrove -
nel cuore disabitato dell’Istria, lungo la frastagliata e brulla costa dalmata
e poi su, fin sulle spoglie rughe del Carso, o, sull’altra costa, nelle silenti
lagune di Grado e di Venezia, tra le basse barene regno d’uccelli acquatici,
nel vasto delta del grande Po - sembra che i rari segni dell’uomo ricordino,
quando esistono, solo le avventure tramandate dal mito o brevi passaggi
sperduti nel tempo.
Bari, basilica di San Nicola |
In verità anche i luoghi più inaccessibili, anche lì dove
regnano i grifoni o i cormorani, la storia dell’uomo s’è sedimentata in densi
strati capaci di raccontare mille e mille storie di vita, assorbite,
incorporate, fossilizzate nella roccia carsica, fattesi esse stesse natura, ma
ancora capaci di gridare dalle viscere nascoste dei monti, dal fondo buio delle
doline, dai recessi inaccessibili delle foibe e dalle umide grotte marine la
lunga avventura degli uomini che qui hanno vissuto, sofferto e gioito. E anche
se è difficile scindere, come ci ricorda ancora Matvejević, i binomi
natura/civiltà e silenzio/storia, anche se lo spessore della civiltà e la
complessità della storia sono immersi e quasi annegati nella natura
incontaminata e nel silenzio più profondo, qui si legge senza fatica
l’armoniosità del creato in cui ogni parte, anche l’opera dell’uomo, trova il
proprio posto, in modo del tutto naturale, dando vita a quello sgargiante
mosaico formato anche dalle vivaci e gloriose città che costellano la mezzaluna
altoadriatica. In queste - Ravenna, Chioggia, Venezia, Caorle, Grado, Duino,
Trieste, Muggia, Pirano, Parenzo, Rovigno, Pola, Abazia, Fiume, Veglia, Cherso,
Lussinpiccolo, Zara, Sebenico, Spalato,
Ragusa e altre ancora - la storia emerge prepotente, la civiltà è ampiamente
visibile, concorrendo a realizzare l’armonia d’un insieme che solo così, nella
propria interezza, rivela appieno la sua splendida unicità e la sua bellezza,
dono divino davvero incommensurabile.
Antiche
strade sfioravano fin dai tempi sconosciuti il golfo altoadriatico, unendo la
terra dei Liguri a quella degli Euganei, e poi ancora, passando tra il mare e
il Carso, oltre l’Istria e verso il cuore dei Balcani. Quante torme d’animali,
quanti gruppi umani l’hanno percorsa, lasciando segni che si sono sedimentati
gli uni sugli altri alimentando i primi barlumi di civiltà che sono diventati
luce e fuoco e storia di secoli e di millenni!
Pola dall'alto |
Le
strade hanno condotto gli uomini a conoscere il mondo al di là del villaggio,
li hanno portati dalle capanne costruite in faccia al mare fin nelle vallate
boscose dell’interno, oltre le creste innevate, e su quelle strade, raddrizzate
e lastricate, sono passate, oltre due millenni or sono, le legioni di Roma,
lasciando poi, specie sulla costa orientale, segni di grandezza imperitura,
come la maestosa arena di Pola e le imperiali vestigia di Spalato. In questo
minuscolo spazio di terra e di mare, una mezzaluna appoggiata sul golfo
pescoso, si sono condensati, sovrapposti, incrociati e confusi numerosi popoli
e civiltà: Euganei, Istri, Illiri, Veneti, Celti, Romani, Dalmati, Eruli,
Alemanni, Goti di varia provenienza, Unni, Avari, gruppi di Slavi, Longobardi,
Franchi, Ungheri, Uscocchi, Greci, Turchi, Germani, Austriaci, Ungheresi e poi
Morlacchi, Valacchi, Montenegrini e altri ancora, ciascuno dei quali diverso
per origine, storia, cultura, tradizioni, esperienze, cucina e anche religione.
E ognuno ha lasciato qualcosa di sé, fatto proprio e assorbito da chi è
rimasto: virtù e vizi, usi e abitudini, parole e gesti, canti e riti. Anche
questo s’è accumulato, dando forma, colore, luce, consistenza, compattezza,
valore, suoni, speranze e attese alla mezzaluna altoadriatica, spaccato
prezioso per chi ama oggi sapere la storia della civiltà mediterranea e
mitteleuropea assieme, specchio sincero per chi, figlio o nipote di questa
terra, vuole conoscere se stesso e il proprio destino.
Chi
però guarda frettoloso questo lembo d’Europa, specie quello bagnato dalla
sponda orientale dell’Adriatico, ha oggi difficoltà, come ha osservato Gabriele
De Rosa, «a capire e comprendere il mosaico delle tante culture e tradizioni
che si sono formate in quelle aree della balcania che si affacciano o tendono
ad affacciarsi sull’Adriatico, un mare che non è chiuso, essendo tutt’uno con
il Mediterraneo, il quale non è un mare nostro, non è creazione di una sola
lingua o di una sola tradizione, non si specifica con una determinata
appartenenza. Nel passato i confini etnici non esistevano, esistevano quelli
degli Stati che mutarono nel corso dei secoli. C’è di tutto in queste terre
antiche, ma sempre in movimento: dal giudaismo al cristianesimo ortodosso e
cattolico all’islam, alle tante guerre, balcaniche e mondiali, ai regimi nazionalistici
e comunisti. L’Adriatico era per eccellenza il mare di Venezia, oggi dovrebbe
essere, per dirlo con le parole di Predrag Matvejević, il “mare dell’intimità”
dei popoli che si riconoscono in esso, che sono obbligati a riconoscersi,
quindi a esplorare con pazienza le vie e i sentieri di una continua
collaborazione, per raggiungere e conquistare il traguardo della convivenza».
Trieste, piazza Unità d'Italia |
E
che la convivenza non sia ancora che un sogno o comunque una meta lontana è
sotto gli occhi di tutti, perché questo è crogiolo ove si mescolano e bruciano
aspirazioni, debolezze, mire espansionistiche, sopraffazioni, vendette,
desideri, vizi e virtù, come pure, purtroppo, le speranze di un vivere assieme,
arricchendosi ciascuno delle ricchezze degli altri e quindi collaborando in
modo pacifico per costruire un futuro migliore per tutti; e questa
incomprensibile e ingiustificabile insania sembra quasi una scelta
pervicacemente voluta da molti fra coloro che qui abitano ma soprattutto da chi
ha governato e governa alcuni di questi luoghi, per i quali comunque, in questo
inizio del nuovo millennio, sembrano intravedersi speranze pur labili ma
finalmente positive.
Eppure
questa è una terra incantevole e peregrinando sulle strade spesso impervie che
rasentano il mare il viaggiatore attento scopre molte più cose di quante
sperasse. E ce lo conferma Ulderico Bernardi, che s’è fermato più volte tra la
gente che abita quest’arco di terra. «C’è più da imparare - ha scritto - in un
bicchiere di Malvasia bevuto al banco di un’osteria istriana immersi in una
girandola di voci venete, croate, slovene, o chissà quali, che in un intero
trattato del multiculturalismo. “Havvi de’ popoli o de’ frammenti di popoli,
posti dalla Provvidenza siccome ponti dall’una all’altra nazione e civiltà: e
tale è l’Istria tra Italia e Slavia: e tale è tutta quella costa del mare
Adriatico, che con men di mezzo milione di abitanti è destinata a operare
grandi cose, se la paurosa tracotanza di que’ che governano non glielo
proibisce” (Nicolò Tommaseo, Del Presente
e dell’Avvenire, 1840).
Non fosse quindi per le antiche ferite della storia, sulle quali nuovi
nazionalismi vengono talvolta spargendo il sangue avvelenato dell’intolleranza,
l’Istria sarebbe nelle migliori condizioni per fornire al mondo l’immagine
esemplare di quanto possa essere fecondo l’incontro fra culture».
E
non solo l’Istria, ma in tutta quell’ampia striscia di terra che incastona
nelle sue più antiche case il leone alato di san Marco scolpito nella candida
pietra d’Istria, da Ragusa alle foci del Po - l’intera Dalmazia, il Quarnaro,
l’Istria, la Venezia
Giulia , il Friuli e il Veneto - ovunque si respira un’aria
capace di unire, perché essa penetra fin nell’intimo e parla al cuore. «La
costa profuma di erbe, - ha scritto Matvejević in Mediterraneo - di vegetazione, di pini. In certi punti mantiene
questi odori più di quello del mare stesso. La commistione che ne nasce è
diversa da costa a costa. Ci sono alberi, piante o frutti che coinvolgono lo
spirito, altri che lo lasciano indifferente. La vigna si trova sia nelle Sacre
Scritture (Gen. IX, 20) sia nel Corano (XVI, 273).
E così è per il fico.
“Non si colgono i fichi dai rovi né l’uva dalle spine” (Luca, VI, 43). Sui sarcofagi e su altri
monumenti di vario genere, come gli stecci,
gli affreschi, le icone, le pagine dei messali, si trovano molte foglie di vite
e grappoli d’uva. Le colonne del tempio di Salomone erano ornate da melograni
(Re, I,7). Gesù venne ricevuto dagli
abitanti di Gerusalemme che stendevano sul suo cammino foglie di palma. Tra
l’altro la palma, assieme all’ulivo, è una delle immagini che ricorrevano con
maggior frequenza. La sua presenza del resto contribuisce a determinare i
confini del Mediterraneo».
La
mezzaluna altoadriatica, piccolo lembo di terra bagnata dal golfo più
settentrionale del Mediterraneo, è davvero profumata d’erbe e i pini marittimi
ne inghirlandano spesso le rive, a volte solitari, alti sulla roccia carsica, a
volte riuniti in boschi silenti e in alcuni scorci incantevoli dell’isola di
Veglia o nel cuore dell’isola di Cherso e a Lussino, oppure a vegliare in
gruppo il sonno dei defunti, come nel piccolo cimitero di San Marco al
Belvedere di Aquileia, in faccia alla laguna di Grado, o ancora ammassati in
lunghe selve, come quella che da Mesola scende verso il mare di Ravenna.
E
ovunque in queste terre si coltiva la vite. Nell’isola di Sansego, oggi
modernissimo vigneto, prezioso soprattutto di varietà preistoriche, fra cui
l’uva di Troia (trojšcina), si trovano anche i vitigni più attuali e poi in
Dalmazia il nobile Babić, il Grk a Curzola, il Bogdanuša a Hvar, il Vugava a
Vis, il Prošek diffuso dalla Dalmazia all’Istria, lo Slahtina nella piana
attorno a Verbenico nell’isola di Veglia, la Malvasia nell’Istria ma
anche in Italia, il Terrano nel Carso sia sloveno che italiano, la Ribolla , lo Schiopettino,
il Tazzelenghe, il Pignolo sui colli che da Gorizia e Cividale degradano verso
il mare, il Picolit nel Collio e nei Colli Orientali del Friuli, il Refosco in
Friuli ma anche in Istria, il Raboso, il Verduzzo, il Prosecco, il Marzemino, la Boschera , il Serprino e
il Friularo nel Veneto orientale: vitigni antichi, autoctoni, cui se ne sono
aggiunti così tanti e di così validi che il Friuli primeggia nel mondo per i
suoi vini bianchi e il Veneto è diventata la prima regione d’Italia per
produzione di vino.
E c’è l’ulivo, tornato a donare i suoi frutti preziosi come
all’epoca di Cassiodoro e ancora di più, anche nella pedemontana friulana e
veneta, con esiti fino a ieri impensati.
Forse,
nell’epoca dell’imperante globalizzazione, purtroppo non temperata per la
mancata nascita di autorevoli e diversificati centri di potere sparsi sul
pianeta, fissare l’attenzione su uno spazio di terra e di vita così limitato
potrebbe apparire riduttivo, come se fosse espressione di quel pensiero debole
che non ama impegnarsi su grandi temi, preferendo indugiare su argomenti
leggeri, lontani dalle problematiche più vere che interessano gli uomini
d’oggi. E questa sensazione potrebbe essere giustificata dal fatto che lo scenario
entro il quale si dipana la storia umana è infinitamente più vasto, più ricco e
complesso del piccolo spazio che qui ci interessa, anche se i canovacci delle
scene di vita che si svolgono nei tanti palcoscenici del mondo sono piuttosto
simili fra loro. Un pensiero forte potrebbe al contrario ignorare l’assordante
cicaleccio di quanti, anche nelle più stimate sedi internazionali, tentano di
mascherare il proprio egoismo o smaccati interessi di parte e invece
contribuire, solo per fare un esempio, a individuare le cause vere dei tanti
focolai di guerra che anche in questi anni iniziali del terzo millennio
continuano a mietere vittime in troppe parti del mondo e indicare poi soluzioni
possibili ed efficaci, in grado di fermare gli odi e trasformare, come avveniva
nell’antica età dell’oro, le spade che uccidono in vomeri che sfamano.
Maschere a Venezia |
E si
scoprirebbe, magari, che molti degli scontri intestini, apparentemente causati
da diversità religiose, che ancora a cavallo tra il ventesimo e il ventunesimo
secolo continuano a incendiare, in mezzo a tanti altri luoghi, anche vaste aree
dell’Asia meridionale, sono in verità motivati, come già nei Balcani o nella
Russia caucasica, da rivendicazioni indipendentistiche o espansionistiche o da
inconfessati disegni politici di qualche signore della guerra.
Oppure, come
continua a succedere in tante parti del globo, da quell’insopprimibile bisogno
di respirare libertà e indipendenza, per conquistare la quale da sempre gli
uomini lottano fino al sacrificio della propria vita. Non c’è dubbio che lo
scenario entro il quale si sviluppano le tante vicende umane è assai più vasto
e complesso e, a volte, addirittura indecifrabile, rispetto a quello che attira
la nostra attenzione in queste righe e non lo ignoriamo affatto, ma crediamo
che questo piccolo spazio possa essere considerato paradigma veritiero del
mondo d’oggi e che su esso gravino le stesse nubi grigie che oscurano altrove i
raggi del sole e che nel cuore di quanti vivono in questa terra alberghino gli
stessi sentimenti che si ritrovano in tutti gli esseri umani: l’amore e l’odio,
la comprensione e la solidarietà, l’egoismo e l’invidia e altri ancora, come da
sempre avviene, per la presenza in ciascuno d’un alito divino, troppo spesso
soffocato dalla debolezza della carne.
E
c’è qualcosa in più. In questa mezzaluna altoadriatica, archetipo d’ogni altra
terra, dove crescono la vite e l’ulivo, piante-simbolo della prima civiltà
umana, vivono oggi degli uomini e delle donne che hanno nel sangue, come s’è
visto, storie e cromosomi provenienti da razze e culture diverse, ma qui,
proprio qui, per la forza d’una civiltà fra le più dense di valori, che resta,
nonostante tutto, radice viva di queste comunità, dovrebbe nascere - deve
nascere - se la volontà sa rispondere alle comuni speranze, la futura civiltà
dell’uomo, una e multietnica assieme: una, per la comune conquista dei valori
sommi del rispetto, dell’accettazione, della solidarietà, della pacifica
convivenza, dell’amore fraterno che discende dalla fede in un Dio creatore dell’universo,
giudice ultimo, ma soprattutto padre buono e misericordioso di ogni essere
umano.
Multietnica: nell’arricchente rispetto delle diverse storie e delle
diverse culture, del diverso modo di organizzare la vita delle comunità, della
diverse strade percorse per arrivare a Dio, della diversità anche dei gusti e
delle scelte di vita. Per questo le terre bagnate dall’alto Adriatico sono, più
di ogni altra, una speranza e una scommessa.
Da qui può riversarsi sull’Europa
la vera cultura mediterranea, la più ricca, la più completa, la più umana e lo
potrà se coloro che vi abitano, facendo tesoro delle molte esperienze maturate
nel corso dei millenni, decidono di ricollegarsi convintamente alle proprie
radici più antiche per diventare in Europa protagonisti d’un futuro di civile
convivenza, di seria collaborazione, di fruttuose intese culturali e umane,
senza le quali i fuochi che hanno bruciato l’Europa, ma soprattutto e più volte
gran parte dei Balcani pure nel tragico ventesimo secolo, e, all’inizio del ventunesimo,
nel troppo vicino Medioriente, possono estendersi di nuovo anche a questo
piccolo lembo di mondo, cartina di tornasole della storia prossima futura del
Vecchio Continente.