A cura di Giampiero Rorato
Il Raboso è un vino di antichissima origine,
prodotto da uno dei rari vitigni presenti nel Nord-Est d’Italia prima
dell’avvento di Roma. Va ricordato che i Romani dedussero (fondarono) la colonia
di Aquileia nel 181 a .C.
e realizzarono la via romana Postumia che collegava Genova con Aquileia,
passando in modo pacifico per il territorio dei Veneti, nel 148 a .C., e ciò fu possibile
perché il rapporto di Roma con il Veneto era allora già buono e si andò
ulteriormente consolidando nei decenni successivi.
La coltivazione di un vitigno simile (simile, non identico,
poiché nel corso dei secoli ci sono state molte selezioni e incroci anche
spontanei, per cui tutti gli antichi vitigni oggi coltivati non sono più uguali
agli originali) all’attuale Raboso da parte dei Veneti antichi (quindi ancor
prima che arrivassero i Romani che lo trovarono) è confermata da Plinio il
Vecchio (23-79 d.C.) nella sua monumentale opera in 37 libri, la Naturalis Historia ,
nella quale si legge che in quest’area si produceva allora il Picina
omnium nigerrima, un vino il cui colore è più nero della
pece. Gli storici non hanno poi faticato a considerare quel Picina
l’antenato del Raboso.
Oltre a questo vitigno a bacca rossa i Romani ne trovarono
anche uno a bacca bianca, che chiamarono Pucinum, considerato, per come
è stato descritto dagli autori del tempo, l’antenato del Prosecco.
Della presenza di un vitigno a bacca rossa molto simile
all’attuale Raboso si ha conferma anche dall’archeologia, essendo stati trovati
in alcune aree veneto-friulane delle splendide situle (secchi da vino
artisticamente lavorati) e dei vinaccioli fossili che, sottoposti all’esame del
Dna, hanno fatto pensare alle conclusioni appena ricordate.
Caduto l’impero romano e con esso il culto della
vitivinicoltura occorre attendere i tempi nuovi, quando Venezia estende il suo
dominio in terraferma, per trovare nuovamente citato questo vino, sempre
ricordato come un vino di grande forza e conservabilità nel tempo, un vino
capace di migliorare con l’invecchiamento.
Venezia inizia la conquista della terraferma veneta nel
1291, quando gli viene donato dai signori “da Camino di Sotto” il Castello
delle Motta con tutte le terre d’attorno – per questo Motta fu definita “figlia
primogenita della Repubblica - ed è probabilmente dall’inizio del Trecento che
riprende in quest’area la vitivinicoltura, dal momento che durante i lunghi
secoli del Medioevo si era molto ridotta, restando quasi unicamente nelle aree
attorno ai monasteri benedettini – qui molto numerosi – e, per i propri
consumi, nelle proprietà dei nobili del tempo, i da Camino e i Collalto in
particolare e nessun documento del tempo cita nomi di vitigni o di vini, limitandosi
a indicare solo il colore (bianco e rosso).
Il Raboso
comunque c’era, come ricorda il trevigiano Jacopo Agostinetti, che nel
1679, all’età di 83 anni, scrisse un volume di memorie intitolato Cento e
dieci ricordi che formano il buon fattor di villa e alcuni di questi
ricordi riguardano proprio il vino Raboso.
Scrive, infatti, nel ricordo 24: “Qui nel nostro Paese per lo più si
fanno vini neri per Venetia di uva nera che si chiama recaldina, altri la
chiamano rabosa per esser uva di natura forte”.
Nel corso della sua lunga storia e sicuramente da subito
dopo l’anno Mille, ma più ancora a partire dal XIV secolo, Venezia acquistava
nelle terre del Piave grandi quantità di vino Raboso perché era l’unico, grazie alla ricchezza di acidità e
tannini, che poteva andare per mare conservando le sue caratteristiche senza
essere rovinato dalla salsedine, come succedeva con gli altri vini.
Coltivazione e caratteristiche
Il Raboso Piave è un vitigno
considerato autoctono, poiché è il più antico fra quelli attualmente coltivati,
la cui presenza nelle terre del Piave, come abbiamo visto, è ampiamente
documentata. Questo vino porta a pieno titolo il nome di “Piave”, che lo
qualifica e lo identifica, sia per origini storiche – perché è in quest’area, e
precisamente nelle centuriazioni romane di Opitergium che ha trovato fin dai
tempi precedenti l’arrivo dei Romani il suo habitat ideale - che per una
presenza rimasta costante nel corso dei secoli nella terra bagnata dalle acque
del fiume che è stato protagonista della prima guerra mondiale, dichiarato
“sacro alla patria”. La sua coltivazione si estende storicamente a ridosso del
Piave per tutta la pianura trevigiana, da Conegliano a Vazzola, a Ormelle fino
a Oderzo, Motta di Livenza e San Donà di Piave.
Il Raboso Piave è
un vitigno rustico, di maturazione tardiva, adatto sia ai terreni
sassoso-alluvionali dove produce ottimi vini da invecchiamento, a quelli più
fertili e profondi, dove pure si producono vini di sicura eccellenza, adatti
anch’essi ad essere invecchiati.
Il grappolo è abbastanza grande, di forma
cilindrica, con una o due ali anche evidenti, compatto, con peduncolo robusto e
legnoso. L’acino ha forma sferoidale, con buccia nero-bluastra, molto pruinosa,
coriacea. I pedicelli sono corti di color verde-rossastro. La polpa è
caratteristica, a sapore neutro, leggermente carnosa,
dolce-acidula-astringente. Ogni acino ha due o tre vinaccioli, di media
grandezza, piriformi. La pianta ha forte vigoria vegetativa e produzione
tendenzialmente abbondante.
La vinificazione ottimale richiede un’adeguata macerazione
nelle bucce; così facendo si ottiene un vino di ottimo corpo, aspro e tannico
da giovane, molto adatto all’invecchiamento.
Lasciato maturare in botti di
legno, acquista col tempo un bel colore rosso rubino carico, con riflessi
granati, uno splendido bouquet ampio e pieno che ricorda le violette di campo e
anche, marcatamente, il profumo di marasca. Ha sapore secco, austero, sapido,
lievemente acidulo, pienamente appagante.
Il Malanotte
Nel corso degli anni 80-90 del secolo scorso, un vignaiolo delle
Terre del Piave - memore dell’antica tradizione sia greca che romana,
conservata per secoli nei monasteri, di bloccare la fermentazione dei mosti per
ottenere vini dolci o di addolcirli aggiungendo al vino ottenuto al momento
della vendemmia una percentuale del medesimo vino ottenute da uve lasciate
appassire per lungo tempo – volle ripercorrere l’antica strada aggiungendo a
primavera al Raboso prodotto nel precedente autunno una parte di vino ottenuto dalle medesime
uve attentamente selezionate e lasciate
appassire per alcuni mesi sui graticci in ambienti giustamente aerati.
L’esperimento, protrattosi per alcuni anni nella ricerca di
un equilibrio ottimale fra il vino normale e quello passito, operando anche con
vini passiti di diverse annate, diede risultati molto positivi. Infatti, il
vino ottenuto con l’aggiunta del passito aveva acquistato corpo, struttura e
personalità, perdendo la sua spigolosità a volte aggressiva per acquistare rotondità ed eleganza.
Lasciandolo invecchiare in botti di
legni diversi si è poi visto che il nuovo vino aveva acquistato, con
interessanti varianti dovute ai legni e alle tostature, un interessante corredo
di profumi di frutta, in particolare ciliegie, prugne, marasche, datteri, uva
sultanina e aromi speziati come cannella, tabacco e ricordi di cacao e vaniglia
con sensazioni balsamiche che completavano un bouquet che si andava sempre più aprendo
ogni volta che veniva avvicinato al naso.
Il sorso apparve subito seducente,
avvolgente, maschio ma gentile, lasciando sentire il carattere e la potenza del
Raboso, come anche l’eleganza e
l’armonia che caratterizzano i grandi vini.
La lunga intelligente ricerca, sostenuta da tecnici esperti
e dall’Università di Padova, conclusa sul finire negli anno 90 del secolo
scorso, ha fatto scuola, indicando ai produttori delle Terre del Piave una
strada nuova per valorizzare appieno questo grande e antico vino autoctono, una
strada poi seguita dai migliori produttori della zona, tanto che è stato poi
redatto un disciplinare ufficiale di produzione di questo nuovo Raboso, cui è
stato dato il nome di Malanotte, nel ricordo di una nobile famiglia
proprietaria tra Sei e Settecento di gran parte delle terre del Piave.
Il Malanotte, primo vino rosso delle
Terre del Piave a ottenere la
Docg , raggiunta dopo tre anni la sua maturità – ma migliora
ancor più se ulteriormente invecchiato - è uno dei grandi vini rossi italiani, equiparabile
al Barolo piemontese, al Brunello toscano, all’Aglianico della Basilicata ed è ottimo
con la cacciagione di pelo e di piuma, le carni rosse, le grigliate e i
formaggi invecchiati e va servito in calici importanti, alla temperatura di
18-20 gradi.
L’esperimento compiuto negli anni 80-90 del secolo scorso
dal sapiente vignaiolo delle Terre del Piave ha consentito anche di poter avere
un vino passito straordinario – il Raboso
passito - ottimo da solo, uno dei pochissimi grandi vini rossi da dessert
in grado di accompagnare ed esaltare i dolci a base di cioccolato.