considerazioni di Giampiero
Rorato
L’Italia è forte di una
tradizione che da qualche decennio ha fatto salire nel mondo il prestigio della
sua cucina, ma non può fermarsi e
cullarsi sugli allori. È dunque l’ora che ristoratori e cuochi italiani guardino
al futuro con rinnovato impegno, sapendo comunque che in ogni regione italiana
ci sono ottimi ristoratori capaci di confrontarsi alla pari con i migliori
ristoranti del mondo, garantendo all’Italia quel primato gastronomico che ci è
correttamente riconosciuto all’estero. Ma, come detto, guai a fermarsi!
Sappiamo bene che ci sono, dalla
Danimarca alla Spagna, dall’Inghilterra agli Usa, dal Giappone al Cile,
dall’Australia alla Germania ristoranti celebrati da un manipolo di cosiddetti
critici gastronomici (anche se alcuni sono davvero esperti), al seguito di
premi altisonanti le cui regole sono per lo più sconosciute, ma non è scritto
da nessuna parte che il nome ripetuto dai soliti noti sui soliti media rappresenti
davvero la miglior cucina del mondo e la più gradita ai buongustai
internazionali (chi è titolato a giudicare davvero un ristorante? Un signore, o
anche due, che entrano un giorno in un ristorante e danno un voto che riportano
su giornali e guide gastronomiche o piuttosto la clientela giornaliera che
premia quel ristorante con la propria presenza? Meglio, molto meglio, le guide
che presentano con chiarezza il locale ma si guardano bene dal dare i voti!).
Non certo per criticare (il mondo
è grande e c’è spazio per tutti, anche su riviste e giornali) ma non mi piace
proprio seguire l’andazzo. Riconoscendo comunque l’impegno e i meriti di tanti
cuochi sparsi per il mondo, resto convinta che la ristorazione italiana, pur
avendo ancora ampio spazio di miglioramento, è già oggi la più gradita a quanti
amano e cercano la cucina seria, buona, sana e appagante.
Le potenzialità da sviluppare
Ma come la cucina italiana non
deve ritenersi inferiore ad altre anche se più reclamizzate, così non può e non
deve cullarsi sugli allori ma continuare a impegnarsi per crescere
ulteriormente. E lo può fare perché possiede delle potenzialità non ancora
pienamente sviluppate, per cui ha tutte le possibilità per crescere ancora e
imporsi stabilmente nell’élite gastronomica mondiale, non tanto per qualche singolo
ottimo ristorante, come avviene in altre parti, ma come grande realtà
gastronomica nazionale, come avviene in Francia.
Vediamo qualcuna di queste
potenzialità.
Innanzi tutto l’Italia ha una
straordinaria e abbondante materia prima . Dove esiste nel mondo una ricchezza
di ortaggi, di frutta, di olio extravergine d’oliva, di salumi, formaggi, di
pesci e molto altro ancora come in Italia? E dove esiste una tradizione
alimentare e gastronomica di lunghissima storia che affonda le sue radici nella
Magna Grecia, oltre 2700 anni fa e che da allora s’è sviluppata in un continuo
crescendo e arricchimento, in un costante sovrapporsi di culture e di civiltà?
Dopo i Greci arrivati in Sicilia
e nell’Italia meridionale, ecco i Romani, che due millenni fa hanno portato a
casa quanto di buono e interessante hanno trovato nelle terre conquistate,
lasciandoci con Apicio un trattato di cucina di straordinario interesse.
Poi, nel IX secolo in Sicilia
sono arrivati gli Arabi, portando il riso, gli agrumi, altri alberi da frutto,
tantissimi dolci e nuove e moderne tecniche di coltivazione della terra e poi i
Bizantini, i Franchi, i Normanni, gli Svevi, gli Spagnoli, i Francesi, gli
Austriaci e così via in un continuo arrivare di popoli ed eserciti che,
relativamente alla cucina, hanno portato e lasciato la loro cultura e le loro
tradizioni, delle quale l’Italia ha conservato le cose migliori.
E le Repubbliche Marinare,
Genova, Venezia, Pisa e Amalfi non hanno forse portato a casa culture,
prodotti, piatti, sapori tecniche culinarie dai Paesi da loro visitati per i
commerci nel corso dei secoli della loro supremazia sui mari? Dove si trova nel
mondo un Paese che nel corso di poco meno di tre millenni ha fatto proprie le
tradizioni di numerosi altri popoli e di numerose culture, assorbendole e
innestandole nelle proprie?
La dieta mediterranea
E l’Italia non è forse il Paese
dove è stata codificata la dieta più funzionale alle esigenze del corpo umano,
vale a dire la dieta mediterranea?
Credo sia doveroso ricordare che
il primo a intuire lo stretto
rapporto esistente tra l’alimentazione e alcune malattie come il diabete, la
bulimia e l’obesità è stato il medico nutrizionista italiano Lorenzo Piroddi (Genova 1911-1999), giustamente
considerato il vero "padre" della dieta mediterranea, il quale, per curare i suoi pazienti elaborò una
prima versione della dieta mediterranea, che limitava il consumo di grassi
animali privilegiando quelli vegetali.
Piroddi è anche l’autore del libro Cucina
Mediterranea. Ingredienti, principi dietetici e ricette al sapore di sale.
Qualche anno dopo è arrivato in Italia lo scienziato americano Ancel Keys (1904-2004), il quale,
dopo essere stato a Nocotera in Calabria, si trasferì a Pioppo, una frazione
del comune di Pollica, nel Cilento, dove rimase molti anni facendo della sua
casa la sede dei suoi importanti studi sul rapporto esistente fra alimentazione
e salute.
In quella lunga permanenza italiana il dottor Keys si è fatto promotore dell'ampio programma di ricerca
noto come Seven Countries
Study e autore del libro Eat well and stay well, the
Mediterranean wa, continuando e
approfondendo gli studi di Piroddi e promuovendo a livello internazionale la
nuova dieta. Ancel Keys, attraverso
un’ampia indagine chiamata “Seven
Countries Study” (studio dei sette Paesi), mise a fuoco la relazione tra
alimentazione dei Paesi mediterranei e statistiche sulle patologie dell’apparato
cardiocircolatorio e il suo studio, considerato una pietra miliare della
scienza della nutrizione, dimostra che la causa delle migliori condizioni di
salute dei cittadini dei Paesi mediterranei, soprattutto per quanto riguarda le
malattie cardiovascolari, è proprio l’alimentazione.
Entrambi questi personaggi, Piroddi e Keys, hanno elaborato
la loro teoria studiando l’alimentazione italiana, soprattutto quella del Sud
Italia, dando al nostro Paese un ulteriore merito che è diventato un impegno:
la cucina italiana non solo è buona ma è cucina della salute e deve continuare
a percorrere questa strada per conservare il suo straordinario primato
gastronomico a livello mondiale.
I ristoratori italiani devono tener conto di queste enormi
potenzialità del nostro Paese – prodotti di assoluta qualità, una tradizione
plurimillenaria, la paternità della dieta mediterranea – e quindi impegnarsi ad
arricchirsi di una cultura del cibo che non ha uguali nel mondo. E allora la
spasmodica preoccupazione di diversi operatori del mondo ristorativo italiano di
ricercare, costi quel che costi, prodotti stranieri che nulla aggiungono alla
qualità dei prodotti italiani, è moda che lascia il tempo che trova, come le
alchimie degli imbonitori che nei secoli andati percorrevano le immense
praterie americane vendendo medicine miracolose capaci di resuscitare i morti. Ma
ora siamo nel XXI secolo!
Non basta dirci che noi italiani siamo bravi, occorre un
quotidiano impegno, una seria preparazione professionale, un continuo
aggiornamento, programmi all’altezza dei tempi nelle scuole turistico-alberghiere,
convinta e produttiva collaborazione tra operatori della ristorazione e le scuole
che preparano i futuri operatori dell’ospitalità e della ristorazione e allora
il primato gastronomico dell’Italia non
temerà concorrenza.
Il futuro della nostra ristorazione non può che passare per
una rinnovata volontà di crescere, attraverso lo studio, l’impegno, la
sperimentazione, il confronto, come dire attraverso un serio percorso di alta e
avanzata cultura professionale.