note a cura di Giampiero Rorato
I
dolci che la ricca tradizione italiana prepara per la grande solennità
cristiana della Santa Pasqua – che ricorda la resurrezione di Cristo, avvenuta
poco meno di duemila anni fa a Gerusalemme – non si limitano a testimoniare la
riconosciuta grandezza e importanza della festa pasquale, avendo in sé altri
significati che la tradizione esige di
rispettare.
Sulla
scia di una ormai plurimillenaria tradizione, risalente nelle sue prime origini
al IV sec. d.C., il dolce di Pasqua è un pane ricco, addolcito dallo zucchero
(anticamente dal miele) e confezionato con burro e molte uova. Anche la
complessità della confezione, che esige lunghi momenti di sosta, testimonia che
si tratta di un dolce specialissimo, strettamente legato all’avvenimento per il
quale è preparato.
Una
cosa salta subito agli occhi: per questa solennità il dolce deve essere, in
quasi tutte le preparazioni, estremamente soffice, frutto di un impasto
lievitato più volte.
Eppure
l’ordine dato da Dio a Mosè era ben diverso: “Per sette giorni voi mangerete azzimi. Già dal primo giorno farete
sparire il lievito dalle vostre case, perché chiunque mangerà del lievito dal
giorno primo al giorno settimo, quella persona sarà eliminata da Israele…
Osserverete gli azzimi, perché in questo stesso giorno io ho fatto uscire le
vostre schiere dal paese d’Egitto; osserverete questo giorno di generazione in
generazione come rito perenne…”.(Es. 12, 15-17).
Perché
questa contraddizione?
La
cucina ebraica a differenza di quella cristiana è rimasta fedele all’antico
comando, infatti ogni casa ove vive un ebreo deve essere accuratamente pulita
nei giorni che precedono la
Pasqua proprio per togliere ogni minima traccia di cibi
lievitati. In quei giorni il pane è sostituito dalla “mazzà”, il pane azzimo
che deve essere anche senza lievito, che ricorda quello mangiato dagli Ebrei
durante l’uscita dall’Egitto. Con azzime e farina di azzime si fanno poi
diversi tipi di minestra per sostituire le paste alimentari che non possono
essere usate durante la Pasqua. Si
preparano, infine, diversi dolci a base di mandorle e uova, ma non deve esserci
assolutamente il lievito.
I
cristiani di rito latino hanno conservato un piccolo ma molto significativo
legame con la tradizione della Pasqua ebraica, preparando senza lievito e senza
sale l’ostia usata nelle messe. Ma è tutto qui.
I
dolci della tradizione pasquale cristiana, in particolare dell’Italia ma un po’
ovunque nel mondo occidentale, non si innestano dunque nella linea
giudaico-cristiana, ma sono frutto di altre tradizioni, in particolare di
quella dei pani ricchi, più tipici delle feste natalizie.
E
se è vero che nei dolci natalizi il pane è simbolo dell’inizio di una nuova
era, oltre che l’inizio del nuovo anno, esse esprime tuttavia il bisogno di un
“pane di vita”, come si autodefinì il Messia, mentre il dolce di Pasqua
simboleggia la festosità piena per la “liberazione” raggiunta.
Nella
Pasqua cristiana non si tratta, come è per gli Ebrei, della “liberazione” dalla
schiavitù dei faraoni, ma dal peccato originale che impedì agli esseri umani,
fino al giorno della resurrezione di Cristo, di vivere la vita vera nel regno
di Dio.
E
se la cultura e la tradizione cristiana hanno informato di sé la civiltà
occidentale, è comprensibile che, indipendentemente dalla profondità o dalla
presenza stessa della fede personale, per la festa di Pasqua si prepari in ogni
casa un dolce che è simbolo della vita rinnovata, ricco e piacevolissimo, a
confermare che si tratta davvero di un giorno memorabile.
Su
questo dolci si possono aggiungere delle interessanti connotazioni.
Innanzi
tutto nei dolci pasquali c’è l’abbondante presenza delle uova. È noto che
l’uovo è il simbolo dell’origine della vita e a Pasqua, che si celebra in
primavera, l’intera natura si ridesta a nuova vita. E così è nell’insegnamento
cristiano che ricorda come la
Pasqua celebri la resurrezione di Cristo dai morti, iniziando
una nuova vita che non avrà più fine, invitando i seguaci di Cristo a rinnovare
la propria vita, grazie alla Misericordia divina, iniziando quindi una vita
nella grazia, ad imitazione di Cristo.
Fra
i dolci c’è, in diverse parti d’Italia la colomba,
un dolce che, per la sua forma, ha diversi richiami.
Innanzi
tutto è il simbolo dello Spirito Santo,
un richiamo quindi alla sacralità della festa; poi è simbolo della pace, come la colomba che Noè fece
uscire dall’arca per vedere se le conseguenze del diluvio erano cessate e la
colomba tornò nell’arca con un ramoscello d’ulivo nel becco, segno che era
ritornata la vita sulla terra.
E
c’è un ulteriore interessante elemento. A
Venezia e nel Veneto la colomba pasquale,
oltre che essere confezionata con farina, uova, zucchero e burro, contiene
anche, pur in quantità ridotta, delle spezie orientali, come cannella, vaniglia
e chiodi di garofano ed è quindi significativa memoria di epoche gloriose per
Venezia, in particolare del tempo delle Crociate che hanno consentito ai
Veneziani di scoprire i tanti tesori dell’Oriente.
La
colomba, dunque, come altri dolci
pasquali italiani, presenta un distacco netto con le tradizioni precedenti
all’anno Mille, a dimostrazione che nel corso della storia possono nascere,
come di fatto nascono, piatti e usi totalmente nuovi, che, se restano, come è
appunto il caso della colomba,
arricchiscono non solo il patrimonio gastronomico, ma diventano elementi
caratterizzanti della tradizione e, in definitiva, della civiltà.