Brillanti ambasciatori tra
Veneto e Armenia
Messaggeri di pace, amicizia e solidarietà
di Giampiero Rorato
C’è da molto tempo uno stretto rapporto tra il Veneto e
l’Armenia ed è un rapporto culturale che abbraccia diversi settori, a
cominciare da quello religioso, con solide radici anche nell’affascinante mondo
del vino.
Nell’angolo del palazzo Ducale (nella foto) che guarda verso Riva degli Schiavoni
e il Ponte dei Sospiri c’è un maestoso bassorilievo che mostra Noè con l’albero
della vite e i veneziani sanno da sempre che la vite è giunta in terra veneta,
per strade, a volte misteriose, dalle pendici del Caucaso dove Noè approdò con
la sua arca dopo il diluvio.
Oltre a questo, la storia ci dice che già nell’XI
sec. Venezia e il regno armeno si scambiarono accordi che sancirono privilegi
reciproci in campo commerciale, grazie ai quali i veneziani poterono risiedere
agevolmente in Armenia e gli armeni trovarono vantaggiosa ospitalità a Venezia.
In una città che stava diventando sempre più cosmopolita, come è dimostrato
dalla sua toponomastica, gli armeni, essendo cristiani, non hanno avuto difficoltà
ad inserirsi in ogni parte della città, anche se il sestiere di S. Marco
diventò una delle aree privilegiate. Qui, e precisamente in parrocchia S. Zulian,
nel 1235 venne ufficialmente consegnata alla comunità la sua Casa Armena (Hay
Dun), in Calle delle Lanterne, oggi Calle degli Armeni, anche per ospitare gli
armeni di passaggio e lì accanto, in Rio Terrà de le Colonne, c’è la quattrocentesca chiesa di Santa Croce
degli Armeni, ancor oggi aperta al culto cattolico apostolico di rito armeno.
Poi, il 26 agosto 1717, la
Repubblica cedette l’isola di San Lazzaro a un gruppo di
monaci armeni, guidati da Mechitar in fuga da Modone, dove avevano trovato
ospitalità dopo essere fuggiti da Costantinopoli per le persecuzioni dei Turchi.
L’8 settembre dello stesso anno Mechitar e i
suoi monaci presero possesso dell'isola, restaurarono i vecchi edifici e ne costruirne
di nuovi, trasformarono i terreni circostanti in uno splendido giardino e oggi l’isola
di San Lazzaro degli Armeni, dove i monaci, guidati da padre Elia, conservano
una biblioteca straordinaria e importanti opere d’arte, è uno straordinario
punto di riferimento per tutti gli armeni della diaspora.
Un grande
progetto vitienologico
Il rapporto Veneto-Armenia si è ulteriormente
consolidato sul finire dello scorso decennio quando un gruppo di vignaioli
trevigiani è partito per il Paese caucasico interessato a visitare e conoscere
la terra natale della viticoltura. Giunti in Armenia, i vignaioli trevigiani
hanno incontrato un vino somigliante del Raboso del Piave, l’Areni e hanno voluto
saperne di più.
L'Armenia é un Paese montuoso situato nel Caucaso meridionale,
tra Europa e Asia, con la maggior parte del territorio sopra i 1000 metri .
Il clima
secco e arido con giornate molto calde e notti fresche risulta particolarmente
adatto alla coltivazione della vite e il cuore della viticoltura armena è la
regione di Vayotz Dzor nel sud del Paese e gran parte dei
vigneti è coltivati a 1200-1400
metri di altezza. L'altitudine conferisce al vino
prodotto un'inconfondibile eleganza e finezza, con profumi marcati e i terreni
vulcanici e rocciosi gli donano un profilo snello e minerale. La regione del
Vayotz Dzor, per i vini straordinario lì prodotti, è considerata tra i grandi
terroir a livello mondiale.
Quella zona interessò molto i vignaioli trevigiani e, a seguito di ulteriori contatti con le istituzioni e i
vignaioli locali e della
vicina Valle dell’Ararat,
nel 2012 fu concordato di realizzare nel Trevigiano un vigneto di Areni e nel
Vayots Dzor un vigneto di Raboso Piave.
Non è stato solo uno scambio
di viti, ma l’inizio di un importante progetto denominato “Treviso per l’Armenia”,
un’iniziativa di cooperazione internazionale che vede la Provincia di Treviso
come capofila assieme alla Scuola Enologica “Cerletti” di Conegliano, all’Istituto
di Ricerca CRA-VIT di Conegliano, alla Congregazione dei Padri Mechitaristi
Armeni dell’isola di San Lazzaro (VE), la Confraternita del Raboso
Piave, il Comune di Vazzola (TV), Unindustria Treviso e, per parte armena, la Fondazione Civiltas
Yerevan Armenia, The Mekhitarist Center of Armenia (Yerevan, Armenia),
l’Armenian Scientific Centre viticulture, fruit-growing and wine making
(Merzdavan, Armenia), l’Armenian Wine Consortium (Yerevan, Armenia), l’EDVAG
Group (Yerevan, Armenia), la
Regione del Vayots Dzor (Armenia) e l’Armenian Trade
Network..
Due straordinari ambasciatori
Ci vuole fantasia, ma
soprattutto la solida e ponderata sapienza contadina per immaginare l’Areni e
il Raboso come ambasciatori fra due popoli, capaci di dar vita a rapporti
sempre più stretti, coinvolgendo illustri personalità, come la celebre
scrittrice armena Antonia Arslan, autrice de “La masseria delle allodole”, nel
quale racconta in modo mirabile e commovente il genocidio del suo popolo a
opera dell’impero ottomano, avvenuto tra il 1915 e il 1916.
Non è stata dunque
una semplice avventura ma un’operazione dai forti contenuti culturali e civili
che continua nel tempo regalando molte soddisfazioni ai veneti e agli armeni.
Nel 2012 in terra trevigiana sono state piantate
900 viti di Areni e grazie a questo vino, imbottigliato all’inizio dell’estate
2016, molti veneti e italiani hanno riscoperto l’Armenia e la sua antichissima
storia vitivinicola, come anche la spesso travagliata storia civile e religiosa,
compressa com’è tra potenze di altre religioni e dalle marcate mire
espansionistiche.
Nelle varie visite effettuate in questi ultimi anni dai
veneti in Armenia sono stati scoperti luoghi fantastici legati al vino, come la Grotta degli Uccelli con la
più antica cantina del mondo, risalente a 6100 anni fa.
La cantina era completa di pressa, l'uva
veniva pigiata con i piedi e il mosto ottenuto versato in contenitori di
terracotta, chiamati karasi,
destinati alla vinificazione e alla conservazione del vino. I ritrovamenti di
raspi e vinaccioli nella grotta comprovano che fu proprio lì che vennero
eseguite le prime vinificazioni dell'umanità.
Questa straordinaria scoperta ha suscitato
un grande interesse a livello internazionale e non é ancora del tutto chiaro
quali fossero le funzioni del sito archeologico della grotta Areni-1 e si presuppone che,
nella lontana preistoria, fosse usato come tempio e che lì venissero eseguiti
dei riti sacri che includevano l'uso del vino.
Su tutte le vigne del
Vayots Dzor domina imponente il Monte Ararat (alto 5.165 m . e il nome
significa “luogo di Dio”), sempre innevato ed il monte sacro degli Armeni, alle
cui pendici scesce l’arca di Noè dopo il diluvio.
E lì attorno, in luoghi
spesso appartati, s’innalzano antiche istoriate croci di pietra, chiese silenti
e caratteristici monasteri a ricordare che l’Armenia è stato il primo Paese ad
accogliere la religione di Cristo, introdotta dagli apostoli Bartolomeo e
Taddeo, dichiarata religione di stato nel 301 dal re Tiridate III, convertito e
battezzato con tutta la sua corte dal vescovo Gregorio Illuminatore.
Quanti partecipano al
Progetto e molti altri enti e persone coinvolti o ad esso vicini, sono convinti
che grazie a questi due vini – l’Areni armeno e il Raboso Piave - ci sarà anche
in Italia una migliore conoscenza della storia armena, del terribile genocidio
che ha sterminato gran parte di quel popolo, ma si potranno conoscere anche le
sue tante stupende bellezze paesistiche, archeologiche e architettoniche e
religiose, i suoi ottimi prodotti agroalimentari, a cominciare dalle albicocche
(il cui albero è l’emblema stesso del Paese) e le molte possibilità di sviluppare
rapporti culturali, religiosi ed economici capaci di arricchire entrambi i
Paesi. E meriterebbe che l’Europa riservasse più attenzione a questo piccolo ma
stupendo Paese.