lunedì 9 maggio 2011

Convegno Assoristora. Eraclea, 9 maggio 2011

La qualità e la professionalità nella ristorazione sono sempre una carta vincente
L’importanza del lavoro di gruppo
Convegno Assoristora, con i ristoratori veneziani
Eraclea 9 maggio 2011
Conversazione di Giampiero Rorato
All’ordine del giorno di questo incontro, uno dei temi da affrontare (Qualità e professionalità è sempre una carta vincente?) è posto come un interrogativo, nella supposizione, naturalmente ipotetica, che il successo d’un ristorante non dipenda né dalla qualità della materia prima impiegata, né dai piatti e dai vini serviti, né dalla professionalità degli operatori.
Poiché la domanda, come è chiaro, è puramente retorica, credo meriti affrontare con chiarezza il tema proposto, analizzando il significato dei due termini – qualità e professionalità – nel mondo della ristorazione, con qualche premessa e, alla fine, con delle doverose conclusioni anche sull’importanza del lavoro di gruppo.
Piero Camporesi, illustre studioso, fra l’altro di storia gastronomica, nella sua ricca e densa “Introduzione” al celebre ricettario dell’Artusi “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene” (Einaudi 1991), scrive che la cucina “è arte combinatoria, di interpolazione più che di invenzione, i cui processi avvengono sotto il segno della variazione più che della creazione pura” e aggiunge: “la storia della cucina è fondamentalmente storia della morfologia [cioè della forma e dell’aspetto esteriore] delle pietanze di cui andranno individuati gli elementi variabili e quelli costanti”.
Resta comunque vero che nel nostro territorio, negli ultimi cinque secoli, per l’arrivo di ingredienti nuovi: riso, fagioli, stoccafisso, zucche e zucchine, tacchini, pomodori, patate, ecc. e, più recentemente, alghe, agar agar, polverette chimiche di ignota natura, ecc., sono stati creati piatti totalmente nuovi, estranei alla tradizione precedente, ma, nel nostro territorio, sono stati quasi sempre felicemente interpretati e tradotti in piatti secondo la nostra cultura e il nostro gusto, frutto della tradizionale.
Ciò premesso credo sia convinzione comune, come ci ricorda il sociologo Costantino Cipolla dell’Università di Bologna e stimato consulente dei ristoranti dell’Associazione “Le Soste”, che una tavola di qualità è definita da una pluralità di fattori che, messi assieme, concorrono a un risultato di “benessere complessivo” che va oltre, senza però scordarla, la professionalità del cuoco,
Perché, quando si parla di qualità e professionalità nella ristorazione, non si deve dimenticare il contesto sociale in cui opera il ristorante e l’ambiente che gli sta attorno, per cui, nel segno della qualità, vanno instaurati con il contesto sociale e l’ambiente esterno dei rapporti virtuosi.
Poi occorre seriamente riflettere, come farò fra poco, sull’ambiente interno del ristorante e sugli aspetti che lo rendono gradevole.
Ed ancora, e fondamentale, c’è l’elaborazione dei piatti e qui nasce il concetto di cucina di qualità o, anche, di alta cucina, che non è qualche cosa di possibile a pochissimi, ma un traguardo cui tutti possono tendere.
E ci sono, inoltre, i complementi del piatto, anche questi determinanti per il successo del ristorante e indici della sua qualità, come vino, acqua, olio d’oliva, aceto, spezie, sale, erbe aromatiche, pane, formaggi, salumi, dolci, caffè, distillati, pasticceria finale, ecc..
Ciascuno dei temi qui toccati meriterebbe una approfondita trattazione, perché il traguardo cui ogni ristorante deve puntare è quello di crescere, migliorare, aumentare la clientela, qualificarla, fidelizzarla, consolidandosi economicamente.
Torniamo alla domanda: qualità e professionalità sono una carta vincente?
Per rispondere, esaminiamo i due termini: qualità e professionalità.
Qualità. In questo termine è coinvolta tutta la tipologia di quanto interessa il mondo della ristorazione e cioè: ambiente, accoglienza, ospitalità, operatori, materia prima impiegata, sua trasformazione in piatti, servizio, vini e bevande, rapporti esterni.
Quando si parla di qualità di tutti questi aspetti, si intende chiaramente qualità totale, vale a dire la più alta tipologia possibile. Per raggiungere questo risultato è necessario che si realizzino una serie di parametri, e cioè::
1 – che l’ambiente sia il più accogliente e invitante possibile, curato in ogni singolo aspetto, dall’ingresso, ai tavoli, alle tovaglie, ai piatti, ai bicchieri, alle stoviglie, ai quadri alle pareti, ai fiori, ai tendaggi, ai tappeti, all’odore stesso che vi si respira, ecc.
2 – che l’accoglienza dei clienti sia premurosa, gentile e calorosa, sapendo che ciascuna persona che entra viene per il ristorante e per ciò che offre, porta reddito, e, se ben accolta, ben ospitata e ben servita e se trova piatti di suo gusto può ritornare;
3 – che tutti coloro che operano nel ristorante abbiano un comportamento il più professionale possibile. Il cuoco deve essere non solo in grado di svolgere con serietà, competenza e dignità la sua professione, ma deve comportarsi come insegnava Escoffier e cioè non deve usare, neppure nel chiuso della sua cucina, un linguaggio scurrile, non deve alzare la voce, deve essere sempre molto curato e pulito nella persona e nella divisa da lavoro, deve saper illustrare ai clienti, se lo chiedono, i piatti che serve. Sempre Escoffier consigliava al cuoco di uscire dalla cucina per salutare i clienti in tutti i tavoli, come del resto avviene nei migliori locali francesi ancor oggi. A loro volta il personale di sala deve avere un comportamento professionale, molto educato e gentile coi clienti; deve conoscere bene le tecniche di servizio e i piatti e i vini che serve (informandosi naturalmente prima, ecco il perché del briefing quotidiano nei grandi ristoranti);
4 – che la materia prima impiegata sia eccellente, igienicamente sana e perfetta, conservata secondo le regole igienico-sanitarie previste dalla normativa vigente. Alcuni prodotti poi devono essere comunque e sempre ottimi, a cominciare dal pane e dall’olio extravergine d’oliva;
5 – che la trasformazione della materia prima in piatti avvenga nel rispetto delle regole di igiene e di corretta cottura, rifacendo il piatto se non riuscisse bene o avesse dei difetti, senza ricorrere a trucchetti per correggerlo;
6 – che il servizio in sala sia sempre professionale, anche quando il ristorante si avvale dei cosiddetti extra. Poiché gli “extra” sono quasi sempre le stesse persone, vanno adeguatamente istruite affinché il loro comportamento sia il più possibile simile a quello d’un cameriere professionale. Il personale deve poi avere costante attenzione al cliente, comprendendo in anticipo ciò che il cliente potrebbe richiedere (acqua, pane, vino, ecc.). Deve essere sempre molto attento ai particolari, ad esempio nel raccogliere il tovagliolo se cade per terra e cambiarlo (e non rimettendoglielo sul tavolo), così se il cliente va in bagno. Finezze che significano professionalità e qualità del servizio.
7 – che i vini proposti siano in numero proporzionale al livello del ristorante. Non sono richieste le mille etichette, ma un numero sufficiente per accontentare al meglio i clienti. Sulla Carta dei vini andrebbe fatto un ragionamento a parte, date le carenze che spesso si notano.
Fa parte della qualità d’un ristorante il momento in cui viene raccolta l’ordinazione. La persona più indicata a compiere questa funzione è uno dei titolari o un collaboratore particolarmente esperto e preparato (nella ristorazione medio alta il maître, mai un cameriere), il quale, prima consegna la Carta dei piatti e quella dei vini – devono esserci, anche per informare dei costi il cliente (non basta affiggere queste due Carte in una bacheca) – e quando vede che al tavolo i clienti sono pronti si riavvicina per raccogliere l’ordine e anche, se richiesto, per consigliare dei piatti e i vini adatti, se non c’è il sommelier. In quest’ultimo caso chi riceve l’ordine deve conoscere molto bene le caratteristiche, oltre che dei piatti, dei vini in cantina.
Questi veloci accenni servono a capire che cos’è la qualità totale nella ristorazione. E non è vero che il servizio deve essere impeccabile se il ristorante è stellato e alla buona negli altri. Può esserlo sempre, per cui deve esserlo sempre. Varia solo il rapporto che solitamente è più familiare nelle trattorie rispetto ai ristoranti di livello internazionale (cito per tutti il veneziano Met di Corrado Fasolato).
Su questi argomenti sono possibili molti e utili approfondimenti.
E vediamo ora, in breve, l’altro termine: professionalità.
Ogni professione ha delle regole che riguardano il comportamento sul lavoro e i contenuti del lavoro.
Per chi opera nella ristorazione i settori di impegno sono sostanzialmente tre:
1 – la cucina
2 – la sala
3 - l’amministrazione.
Colui che cura l’amministrazione deve operare in modo che i conti tornino e, se persona esterna, tenere informata la proprietà, compiere costantemente l’analisi dei costi e dare alla proprietà le conseguenti indicazioni. I conti, come ben sanno gli addetti ai lavori, riguardano le persone che lavorano; la materia prima necessaria; le spese generali (energia elettrica, gas, acqua, telefono, tasse, assicurazioni, consulenze, promozione, ecc.); gli investimenti in attrezzature.
Il titolare deve saper gestire in modo equilibrato il tutto, in modo tale da avere alla fine un giusto reddito, accantonandone una parte anche per i periodi di minor lavoro e per il rinnovo delle attrezzature.
Poi ogni singolo operatore deve comportarsi nel suo settore secondo le regole previste per il suo lavoro, puntando costantemente al meglio.
Un cuoco può saper lavorare, avere un buon curriculum, ma non sentirsi impegnato, non sufficientemente coinvolto, non appagato, quindi non rendere al meglio. Questa non è professionalità.
Un cameriere può mostrasi solerte, essere sempre in movimento tra sala e cucina, ma fingere di non vedere cosa succede sui tavoli. Questa non è professionalità.
Se nel locale non c’è il sommelier, il titolare che opera in sala o il caposala e comunque i camerieri devono conoscere bene anche i vini e saper servirli con professionalità.
Chi cura l’amministrazione può tenere in ordine i conti, ma può succedere che non analizzi i costi reali dei piatti, la resa reale dei dipendenti, non valuti il perché di costi che risultano o anche sembrano sproporzionati. Questa non è professionalità
E la mancanza di professionalità è la causa di tanti problemi economici, di chiusure, di fuga dei clienti.
Allora è chiaro che la professionalità di tutta la brigata è indispensabile, conditio sine qua non, per realizzare la qualità, anzi, come oggi si dice, la qualità totale.
Un ristorante cresce, attira clienti, funziona e rende se dunque segue le regole della qualità e della professionalità, così come brevemente sintetizzate.
Certo questi argomenti vanno calati nelle situazioni reali di ogni singolo ristorante, le regole non sono mai rigide, ma ci sono principi irrinunciabili.
Un’ultima osservazione: il punto finale di un processo qualitativo e professionale è il piatto che arriva in tavola, servito con professionalità, bello, esteticamente affascinante, subito desiderabile, molto buono, tale da essere richiesto anche nelle visite successive e con un rapporto qualità/prezzo deve essere corretto secondo il livello del ristorante. Quanto appena accennato deve avvenire all’interno di un locale bello, molto ben curato, dove c’è sorriso, affabilità, professionalità. Dove si sente la vita e la gioia di vivere, mentre la routine, il sorriso fiacco o il broncio cacciano i clienti anche se il valore della cucina è alto.
Il Gruppo
C’è un ultimo argomento cui vorrei far cenno: il lavoro di gruppo.
È vero che per emergere non serve il gruppo e cito, sempre un nome nel veneziano, Cera; ma il gruppo dà immagine, è calamita, attira la clientela.
Si dice da almeno cinquant’anni che nel trevigiano si mangia bene. In verità non meglio che nel vicentino o nel bellunese, dove, fra l’altro, ci sono più ristoranti stellati. Ma nel trevigiano, dove c’è una sola stella, il Gellius a Oderzo, i ristoranti hanno complessivamente una fama superiore a quella dei ristoranti delle altre realtà venete e hanno più clienti. Perché?
A mio avviso per una impostazione che nasce nel lontano 1959 – con l’indizione del primo Festival della Cucina Trevigiana, a cura di Dino De Poli e Giuseppe Maffioli – si rafforza negli anni ’70 con la nascita del Gruppo Ristoratori Trevigiani che poi, essendo i ristoratori aderenti diventati numerosi, si dividono, sempre con la regia di Maffioli, in tre gruppi, ciascuno con un proprio tema gastronomico: i funghi (il gruppo si chiamerà poi Cocofungo e, più recentemente, anche Cocoradicchio); il radicchio; le erbe di primavera, cui si aggiunge, in anni recenti, l’asparago (il gruppo si presenta come Superbe).
I tre gruppi organizzano interessanti e seguite manifestazioni gastronomiche sostenute da buoni lanci pubblicitari, da un ottimo rapporto con la stampa, le autorità del territorio e una cerchia di clienti sempre più larga; con iniziative artistico-culturali di grande attrattiva e con gemellaggi internazionali molto graditi.
Oggi si dice in giro che mangiare nel trevigiano, soprattutto nel Montello e nella Pedemontana, non si sbaglia.
Ed ora veniamo a noi: i ristoratori possono riunirsi in Gruppo per due motivi:
1 – o per realizzare assieme delle attività di reciproco interesse (cosa che non interessa al pubblico, es. acquistare assieme determinati prodotti, avere assieme un consulente qualificato, ecc.)
2 – o per realizzare assieme delle particolari manifestazioni enogastronomiche (cosa che interessa al pubblico).
Mi soffermo sul secondo motivo. I ristoratori che si riuniscono in gruppo per realizzare delle manifestazioni promozionali, cioè per farsi conoscere, acquisire nuovi clienti, valorizzando contemporaneamente il territorio, devono presentarsi con un tema allettante, cioè promuovere, ad esempio, una rassegna gastronomica legata a un prodotto che non sia quotidiano (come, invece, nel veneziano è il pesce) e, nel periodo in cui il prodotto è maggiormente presente (Treviso insegna, anche se poi a Treviso ormai le manifestazioni non hanno più valore gastronomico ma sociale, cosa naturalmente sempre utile).
Quale può essere il tema attorno a cui realizzare delle manifestazioni capaci di unire un gruppo di ristoratori e, nel contempo, attrarre un pubblico nuovo anche da altre province, oltre al pesce? Penso ad asparagi ed primizie di primavera, magari legata agli orti del Cavallino; penso alla selvaggina di valle, penso all’antica cucina veneziana sapientemente interpretata; penso alla cucina dell’uva e del vino in autunno, legata alle aree Doc Piave e Lison-Pramaggiore.
Dalla vostra conoscenza ed esperienza possono però nascere altre proposte ancora più valide e interessanti.
Quello che conta è che il pubblico riesca a individuare l’esistenza di un gruppo di ristoratori e percepisca che il gruppo presenta una cucina seria, con piatti di grande interesse, meritevoli di essere gustati; quindi una cucina diversa rispetto a quella delle province vicine, una cucina in un certo senso unica.
Poi, partita l’iniziativa, superato il periodo di rodaggio, la manifestazione diventerà un punto fisso per buongustai, i quali, se il livello qualitativo permane alto, torneranno più volte, si legheranno a questi ristoranti e così il gruppo, se ben diretto, si sarà sempre più consolidato, avrà realizzato il proprio interesse, quello di tutti e ciascuno i ristoranti associati.
Poi ci sono manifestazioni esterne, da valutare non tanto per un possibile ritorno economico, quanto per un ritorno forte d’immagine e qui le occasioni sono numerose. Basta individuarle e, se ritenute valide, passare alla fase organizzativa.
Credo che le istituzioni, se seriamente coinvolte con programmi convincenti e finalizzati anche a una più forte attrazione turistica, non sarebbero insensibili ad offrire la propria collaborazione
Mi fermo qui e se mi sono permesso di dare queste indicazioni è per un rapporto pluridecennale che ho con la grande ristorazione italiana, per gli incontri e le discussioni che ho avuto e ho con chef, maître, sommelier, direttori e consulenti dei più importanti ristoranti italiani, per essermi seduto più e più volte ai loro tavoli, per aver visitato le loro cucine, le dispense e le cantine, per aver osservato il lavoro degli operatori e, inoltre, per conoscere l’organizzazione della ristorazione trevigiana fin dalle sue origini, così come conosco abbastanza bene i prodotti e la cucina veneziana, sia di Venezia che della laguna e della terraferma.
Mi auguro che queste riflessioni – che si condensano in tre parole: qualità, professionalità, gruppo - possano aiutare a riflettere e individuare, con pazienza e con coraggio, la non facile strada del successo che la ristorazione veneziana merita più di quanto abbia fin qui ottenuto, per il quotidiano impegno e per la riconosciuta serietà di chi vi opera e per una tradizione che ha fatto della cucina veneziana, nei secoli della Serenissima, la più ricca, più varia, più godibile, in una parola la migliore del mondo occidentale