Il Pranzo di Natale
Valori, simboli e piatti
della Cena di Vigilia e del Pranzo di Natale
della Cena di Vigilia e del Pranzo di Natale
alcune
note di Giampiero Rorato
Perché attorno a questi due
momenti – Cena della Vigilia e Pranzo di Natale – c’è un’immensa
letteratura e anche attualmente, relativamente a questi due pasti, tutti i
media – quotidiani cartacei e on-line, riviste, radio e TV – discutono,
propongono, intervistano, suggeriscono?
Evidentemente si tratta di due
momenti che non si esauriscono nel puro fatto alimentare, ma assumono significati
e valori che esulano dalla quotidianità del cibarsi. Si tratta, infatti, di due
pasti strettamente collegati alla festività in cui sono inseriti e di cui fanno
parte, sono essi stessi momenti della festa e come tali vanno preparati, capiti,
gustati e vissuti.
A determinarne le caratteristiche
interviene anche la tradizione (ogni terra ha la propria) e, relativamente alla
Cena della Vigilia, quanto disposto dal Concilio di Trento nel suo
ultimo decreto, varato il 4 dicembre 1563.
La Cena della Vigilia
Nel decreto conciliare appena
citato, riguardante i giorni in cui i cristiani sono invitati a praticare
l’astinenza dalle carni e il digiuno, vi sono anche le vigilie delle grando
solennità religiose, fra cui quella del Santo Natale. Da allora, si
è consolidata nel mondo cattolico la tradizione di sedersi a tavola la Vigilia per
un solo pasto – a mezzogiorno o alla sera – astenendosi rigorosamente dalle
carni.
[Va qui ricordato che numerose
famiglie, pur attenendosi alla regola di un solo pasto nella giornata,
anticipano per antica loro tradizione alla sera della Vigilia il Pranzo di
Natale, limitandosi il giorno successivo a pasti sobri.]
I piatti tradizionali della
Vigilia sono dunque a base di prodotti ittici e di ortaggi, con
particolare preferenza – in molte parti – per l’anguilla (foto sotto), che, un tempo,
era un pesce reperibile praticamente ovunque, vivendo in tutti i corsi d’acqua
e, proprio per questa diffusissima presenza del passato, la tradizione continua
ancor oggi.
Nelle zone di montagna nei cui torrenti è più diffusa la trota,
è questa che diventa il pesce della vigilia, essendo un ottimo pesce che, se
ben preparato, non teme il confronto con il salmone, il quale, al pari dello
storione, fortemente spinti dalla pubblicità, entrano nelle tavole che si credono
più ricercate e raffinate, ma è solo vuota presunzione.
Nella Cena della Vigilia è
spesso presente lo stoccafisso (il “baccalà” dei Veneti) e nel Veneto
orientale, soprattutto il “baccalà mantecato”, come anche i vari tipi di
cefali, oppure, come esigevano sulla loro tavola della Vigilia i patrizi
veneziani d’un tempo, branzini, oppure orate, o anche rombi
chiodati.
Attualmente, sulla scelta del
pesce c’è naturalmente ampia libertà e, per gli altri piatti, consiglio un antipasto
a base di trota, un primo che può essere un risotto al radicchio rosso
di Treviso tardivo e, per il contorno al pesce, delle verdure in
armonia con il tipo di pesce e la cottura praticata.
Il Pranzo di Natale
Perché deve essere un pranzo
importante, ricco, opulento, servito sul miglior servizio di piatti presente in
casa, con grandi vini, da concludere con il dolce?
Questo pranzo è il momento nel
quale l’intera famiglia si riunisce attorno alla tavola – occasione oggi
piuttosto rara –; è un momento che si colloca all’interno di una ricorrenza
fondamentale per la storia dell’intera umanità: ricorda infatti la nascita
di Gesù a Betlemme, la nascita di Dio che si è fatto uomo per indicare agli
uomini la strada del loro riscatto, “luce vera che illumina ogni uomo”, come ci
ricorda l’evangelista Giovanni.
Quel Bambino è venuto a dirci che la strada del
riscatto per l’intera umanità passa per strade che si chiamano rispetto e amore
per la vita, perdono, solidarietà, collaborazione, pace, amore fraterno. Se ci
fermiamo un istante a riflettere comprendiamo bene il valore anche attuale di
quella nascita e di quel messaggio.
Giorno specialissimo, dunque, il Natale
del Signore, tanto importante da essere festeggiato anche da quanti
appartengono ad altre religioni o, per loro sfortuna, sono senza religione.
Si
giustifica allora appieno – oltre al momento religioso per i cristiani – anche
il momento conviviale, che è complementare al momento religioso, esso stesso un
fatto religioso, poiché festeggia, attorno a tavole signorilmente preparate e
riccamente imbandite, la nascita del Bambino di Betlemme, nato da Maria, figlio
di Dio, vero Dio e vero uomo.
Da questa premessa discende
l’organizzazione del Pranzo di Natale, che deve essere ricco e
pienamente soddisfacente, tanto che in Germania il Natale era addirittura definito
“il giorno della pancia piena”, quasi dimenticando che è il giorno
anniversario della nascita di Gesù a Betlemme.
La tradizione veneta non aveva in
passato antipasti specifici, ricorrendo, fino a cinquant’anni fa, all’unico
antipasto esistente, preparato soprattutto in occasione dei pranzi di nozze:
salumi affettati e giardiniera. Oggi c’è più libertà e la fantasia delle donne
di casa sa aprire festosamente questo importantissimo pranzo.
Prima di indicare alcuni piatti,
mi preme ricordare che nel mondo occidentale il Santo Natale di Gesù (perché,
non dimentichiamolo, è il suo natale che si ricorda) è celebrato come festa del
pane e della carne. Gesù nasce a Betlemme (nella foto sopra, la basilica di Betlemme), l’ebraica Beth Lehem,
che significa “Casa Del Pane” e la palestinese (quindi in lingua araba) Bait
Laham, che significa “Casa della Carne”.
I piatti
Venendo ai piatti, in passato, in
molte parti, Veneto incluso, dopo un non sempre presente antipasto, veniva
servita un fumante piatto di tortellini (o ravioli) in brodo, con un’abbondante
grattugiata di formaggio stravecchio, cui seguiva un gran cappone ripieno,
preferibilmente arrosto.
Questi erano e, in molte famiglie lo sono ancora, i
due piatti principali del pranzo natalizio, preparati nel solco di una millenaria
tradizione.
C’è chi aggiunge al cappone (in questo caso bollito) o porta in
tavola al suo posto, una tacchinella ripiena cotta al forno. Preciso
subito che questo piatto (in particolare: tacchinella ripiena alle castagne)
è stato introdotto nel Lombardo-Veneto dagli austriaci dopo il Congresso di
Vienna del 1815 entrando poi, abbastanza diffusamente, nella tradizione di
queste regioni.
Qui servono alcune precisazioni.
Innanzi tutto i due piatti impiegano ingredienti doppi nel senso che dapprima
c’è una pasta ripiena e anche la carne è riccamente farcita e questi piatti
dagli ingredienti doppi esaltano il valore e l’importanza del pranzo che
diventa espressione di una festa tutta speciale e straordinaria. In secondo
luogo si impiega carne di animali di cortile, mai carne di agnello
(simbolo della resurrezione, quindi riservato alla festa di Pasqua), né di bue,
o similare, essendo questo animale protagonista, seppur indiretto, dell’evento
di Betlemme.
Se in Italia e nei Paesi latini
si preferisce il cappone, in altri Paesi si impiegano alti animali: tacchini in
Austria, Inghilterra, America; oche a anatre nell’Europa centrale; maiali e
cinghiali nei Paesi nordici.
Il contorno, poi, dipende dai
prodotti locali, anche se da diversi anni è d’attualità il radicchio,
che sia di Treviso, Castelfranco, Verona, Chioggia o Lusia poco importa,
ma deve essere fresco, croccante, gustoso, colorato per rendere ancor più
allegra la tavola.
Il Dolce
Infine, come accennato ricordando
il significato ebraico del nome di Betlemme, c’è il pane. In passato, il
pane quotidiano - spesso scarso, quando c’era, e comunque confezionato con
cereali minori nella stragrande maggioranza delle famiglie (i ricconi che
disponevano di pane bianco erano pochissimi) - il giorno di Natale doveva
essere abbondante, fragrante, saporoso, ricco di cose dolci, solitamente
vietate alla povera gente.
Ed è nata così – probabilmente dall’anno
350, quando papa Giulio I avrebbe fissato nel 25 dicembre la data della nascita
di Gesù a Betlemme – quella stupenda tradizione che ci ha tramandato pinza,
pangiallo, panforte, pandolce, panpepato, pan d’épices e ancora
panettone e pandoro.
Eccolo il dolce di Natale che ha
esso pure un ben preciso significato, quasi a voler sottolineare e ricordare la
piena verità e attualità delle parole di Gesù: “Io sono il pane della vita:
chi viene da me non avrà più fame …. e il pane che io darà è la mia carne per
la vita del mondo.”
Non è azzardato, gustando il
dolce di Natale, ricordare le parole di Gesù e il suo lascito all’umanità, dal
momento che abbiamo bisogno tutti di riscoprire appieno il suo messaggio di
amore e di fraternità, perché solo ascoltando e seguendo quel messaggio si
possono affrontare con speranza di risolverli i numerosi problemi che
colpiscono ancora attualmente l’umanità, far cessare le tante guerre, spesso
fratricide, che mietono troppe vittime innocenti in tante parti del mondo e,
problemi non secondari, debellare la fame e le malattie che colpiscono tante
parti del mondo .
Per concludere col dolce, esso è
il vero “Pane di Natale”, un pane opulento, prezioso, principesco,
arricchito di uva passa, canditi, mandorle, noci, pinoli e altra frutta simile,
simboli universali di fertilità, garanzia di un futuro illuminato da nuove
vite.
I Vini
Un accenno, infine, ai vini: per
il pranzo di Natale ci vogliono i migliori vini che è possibile avere per ogni
piatto, da servire in calici di cristallo, i più raffinati e preziosi
conservati in casa.
Si può iniziare con uno spumante
che può accompagnare, volendo, anche l’antipasto: un Brut Metodo Classico
Trentino o Franciacorta od Oltrepò Pavese o altro simile. Di
gran moda è quest’anno il Prosecco Spumante, sia Docg che Doc, serviti
tutti a 6-7°C. Per i primi piatti – minestra in brodo o asciutta - va benissimo
un serio vino bianco meglio se locale, servito alla temperatura di
10-11°C. Per la carne un grande vino rosso e ogni regione ne possiede in
quantità, ma che sia eccellente, di ottimo corpo e struttura, meglio se di
qualche anno, da servire in calici ampi alla temperatura di 15-18°C (secondo il
tipo di vino).
Infine per il dolce. Trattandosi
di un lievitato vanno rigorosamente evitati i passiti, i vinsanti e i liquorosi,
che non sono adatti. Da scegliere spumanti dolci, di moderata
gradazione. Se si pensa che un Pandoro ha una quantità di burro che supera il
50%, ci vuole uno spumante di ottima acidità e struttura. Per il Pandoro
e il Panettone suggerisco un Recioto di Gambellara Spumante, vino
straordinario, anche se la tradizione si è consolidata attorno all’Asti
Spumante e al Colli Euganei Fior d’Arancio (anche questo un ottimo
spumante da uve Moscato giallo).
E che sulla tavola non manchi la frutta
di stagione – agrumi di Calabria e di Sicilia in primis – e frutta
secca in abbondanza e che attorno alla tavola ci sia tanta festosità e la
gioia d’essere assieme in un vero convivio, che è un vivere assieme l’avventura
della vita.