lunedì 30 giugno 2014

Lo Sgroppino

La vera storia d’un digestivo che ha conquistato il mondo

Attorno alla metà degli anni ’70, due fratelli, operanti fin da ragazzi nel mondo turistico alberghiero, riuscirono a coronare un loro vecchio sogno professionale, acquistando una villa a Gorgo al Monticano, facente parte di un complesso di palazzi di campagna, appartenuti nel corso del tempo alle nobili famiglie veneziane Foscarini, Corner e Revedin. Il palazzo, destinato a diventare un lussuoso albergo con ristorante, era immerso in un parco secolare, ma aveva necessità di radicali restauri che si conclusero sul finire del 1977.

Terminati i lavori e acquistati gli arredi necessari all’albergo e al ristorante, i due fratelli  chiamarono a dirigere il complesso un collaudato professionista veneziano, quindi diedero inizio all’attività quasi in sordina, pensando di affinare via via la complessa organizzazione.

Passò così un anno e ormai tutto funzionava a meraviglia, anche se mancava ancora qualcosa per completare le dotazioni necessaria per considerare lussuoso quell’albergo.

Una mattina entrò in ristorante un rappresentante di commercio.
“Buon giorno signori, disse alle prime persone incontate, posso parlare con il proprietario o il responsabile degli acquisti?”
“Sono qua, rispose il direttore, mi dica.”
Prima gli diede il proprio biglietto da visita e poi chiese: “Mi scusi la domanda: avete già i televisori nelle camere e nelle sale d’attesa?”
Il direttore non rispose subito. In verità nelle camere i televisori non erano stati ancora acquistati. La proprietà aveva speso gli ultimi risparmi e attendeva di accumulare un po’ di soldi per completare le dotazioni ancora mancanti, fra cui, appunto, i televisori nelle camere.
“Immagino che ancora non li abbiate”, disse il rappresentante che aveva notato il silenzio del suo interlocutore..
“In verità, precisò costui, abbiamo curato al meglio il ristorante. Per l’albergo ci manca ancora qualcosa”.
“Nessun problema, signore. Sono qua io. Mi dica, di quanti televisori avete bisogno?”
Il direttore ritenne che fosse uno dei  titolari a continuare il dialogo e chiamò quello che vide lì vicino.
“Questo signore, gli spiegò il direttore, vorrebbe fornirci i televisori che abbiamo programmato di acquistare nelle prossime settimane.”

“E io ve li do gratis, intervenne prontamente il rappresentante di commercio. Tutti. Senza che voi dobbiate tirar fuori una lira.”
“Ma voi non siete Babbo Natale, almeno non lo credo”, gli disse il proprietario.
“Proprio no, gli rispose il rappresentante, ma l’affare che vi propongo è per voi di assoluta convenienza. Mi ascolti. Voi dovete avere in casa per i vostri ospiti anche dei distillati e dei liquori. Non è vero?”
“Sì”, risposero all’unisono.
“Bene. Allora io vi fornisco gratuitamente tutti i televisori di cui avete bisogno se in cambio acquistate a un prezzo ampiamente scontato della Vodka Wiborova, un’ottima vodka polacca da un po’ di tempo di gran moda in tutta Europa e ora in offerta di lancio in Italia. Voi, al termine della cena, proponete un bicchierino di vodka ai vostri clienti, che naturalmente la pagano, e intanto vi trovate fra due giorni già con i televisori installati e le camere dell’albergo pienamente funzionanti. Un affare, non vi pare?”
“Apparentemente sì, gli rispose il proprietario, ma per voi dove sta l’affare. Non mi dica che è in giro a fare beneficenza!”.
“Certamente no, signore, il fatto è che la casa importatrice sta facendo una grossa operazione promozionale per diffondere il più possibile in Italia questa vodka. Mi capisce, siamo in fase di lancio commerciale. Se poi la nostra ottima vodka fosse presente in un ambiente importante come questo acquisterebbe un’enorme capacità promozionale. Ecco, voi pagate la vodka al prezzo di lancio e i televisori sono il nostro regalo perché questo vostro importante ristorante ci promuoverà ancora di più.”
Il proprietario e il direttore si guardarono negli occhi. Vodka non ne avevano ancora acquistata, se il prezzo della vodka era buona si poteva anche fare.
“Quanto viene a costare la vodka?” chiese il proprietario.
“Vede signore, di quanti televisori avete bisogno?”
“Una ventina.”
“Bene.” Il rappresentante di commercio si mise a fare due conti, prese da un suo borsone una bottiglia della vodka che aveva proposto, la mise sul tavolo e poi annunciò il prezzo che veniva a costare ogni bottiglia, precisando contenuto e quant’altro poteva interessare ai suoi clienti.
“Direttore, disse il proprietario rivolgendosi al suo collaboratore, concluda lei l’operazione, purché i televisori siano di ottima qualità. In questo albergo, per giunta nuovo, non possiamo mettere nelle camere apparecchi che non siano di marca e di piena affidabilità. Non vorrei dover chiamare il giorno dopo un tecnico per farli funzionare!”
“Grazie, disse allora il rappresentante di commercio. Signori, fra vent’anni i televisori che vi faccio avere saranno ancora nelle camere di questo albergo. Ve l’assicuro. Intanto questa bottiglia ve la lascio come campione.” E si mise a scrivere l’ordine.
Il proprietario se n’era andato, aveva ancora tante cose da seguire. Anche il direttore aveva fretta e, mentre il rappresentante di commercio scriveva l’ordine, gli fece altre domande sui televisori, poi firmò e salutò in velocità il suo interlocutore, che se ne andò soddisfatto.
Due giorni dopo un camion si fermò davanti all’ingresso dell’albergo e l’autista chiese collaborazione per scaricare i venti televisori. Arrivò del personale e i televisori furono depositati in una saletta accanto alla reception.
“Domani verrà un tecnico per installarli nelle camere”, disse e poi chiese dove fosse il magazzino per scaricare della vodka.
Gli fu indicato. Il camionista portò il suo mezzo nel retro del palazzo e chiese aiuto per scaricare le casse di vodka.
Vennero Enzo De Carli, che era il barman e un cameriere.
Cominciarono a scaricare ed era una montagna di cartoni.
De Carli chiamò il direttore il quale, vedendo quell’enorme quantità di vodka cominciò a rabbrividire.
“Scusi, disse all’autista, si fermi un attimo. Ma è sicuro che sia tutta roba nostra?”
“Certo che sì, gli rispose. Guardi qui la bolla di trasporto.”
“Aspetti un attimo, gli disse ancora, vado a controllare l’ordine fatto due giorni fa.”
Il direttore tornò quasi subito: era vero, non aveva badato al numero, un po’ confuso, scritto nell’ordine. Ma lui l’aveva firmato e quella vodka era tutta sua.
Più tardi, quando arrivò il proprietario, il direttore lo informò della cosa. Dapprima il proprietario si rabbuiò, ma, sapendo che ormai la frittata era fatta, bisognava pensare a come smaltire il più velocemente possibile quella vodka.
Il proprietario, il direttore e il barman De Carli si chiusero nella saletta riunioni e cominciarono a ragionare.
“È chiaro che proporremo un bicchierino di vodka come digestivo, al posto della grappa e degli amari, dicendo che è di moda e che aiuta la digestione”, disse il proprietario.
La discussione continuò un bel po’, con varie proposte, fin che il proprietario disse.
“E se noi inventassimo con la vodka un qualcosa di nuovo, di desgropante, che sia nel contempo originale, molto gradevole e svolga le funzioni di digestivo!”
“Si può provare”, gli rispose il direttore che s’era messo a scrivere le varie idee che i tre andavano proponendo.
La proposta che parve la migliore fu quella di realizzare una specie di cocktail a base di vodka e gelato al limone e subito fu incaricato il barman di mettersi all’opera.
Il giovane barman, bravo, intelligente e veloce, andò al suo banco di lavoro portando dalla cucina una ciotola di acciaio, vi versò del gelato al limone e poi un po’ di vodka. Con una frusta cominciò a lavorare per amalgamare al meglio, poi assaggiò, ma fece una smorfia.
“Non va, proprio non va, non può andare”, disse sconsolato. “Proverò con altri gelati, vedrò quello che si più ottenere.”
Assaggiarono anche i due fratelli proprietari e il direttore e concordarono con De Carli.
Era quasi sera quando, sconsolato, il buon barman decise di rinunciare. Diverse preparazioni le avevano assaggiate anche i proprietari e altri collaboratori di sala e di cucina, ma nessuna era apparsa degna di essere servita ai clienti.
Chi non voleva rassegnarsi era il proprietario, il quale, avendo in un certo qual senso autorizzato l’acquisto della vodka, voleva che non restasse ad invecchiare in cantina, ma che girasse veloce per recuperare almeno la spesa sostenuta.
“Ma perché non va bene il gelato al limone?”, chiese a De Carli.
“Se vuole, gli rispose, provo a rifare il gelato e poi a mescolarlo con la vodka e mi darà il suo parere.” E si mise a rifare il “desgropante” con un gelato sempre al limone ma diverso dal precedente.
“Che proporzioni ci sono?”, chiese il proprietario.
“Due terzi di gelato al limone e un terzo di vodka, se vogliamo un buon equilibrio queste sono le proporzioni!”, rispose.
Proprietari e direttore assaggiarono lentamente il composto.
“Sa troppo di latte!” esclamò uno. “Se noi facessimo un gelato con meno latte e più succo di limone, forse il risultato sarebbe quello desiderato.”
“Domani, gli rispose De Carli, faremo il gelato come dice lei e poi proveremo. Speriamo di non perdere un’altra giornata.”
L’indomani mattina un aiuto di cucina, che era stato a lavorare come gelataio in Germania, fece del gelato al limone usando la minor quantità di latte possibile. Una volto pronto, De Carli prese la sua ciotola e una frusta, versò 2 bicchieri di gelato, uno di vodka e cominciò ad amalgamare il composto. Una volta ottenutolo ne versò una parte in alcune flût e cominciarono ad assaggiarlo.
“Ottimo!” esclamò il proprietario e anche suo fratello, il direttore e lo stesso barman De Carli e altri collaboratori presenti  e tutti trovarono che il “desgropante” da fine pasto così preparato era davvero eccellente.
“Visto cosa combina il latte? esclamò il proprietario, che aggiunse: Avrà sicuramente successo anche se io gli aggiungerei tre gocce di tequila. Sai, un tocco esotico, tra Russia e Messico! Proviamo!”
De Carli fece come aveva proposto il proprietario, amalgamò con la frusta al meglio e riprovarono a gustarlo.
“Bene, benissimo!”. Il direttore trovò che realizzato in questo modo il desgropante avrebbe consentito di consumare in un tempo ragionevole la gran quantità di vodka accatastata in cantina.
“E come lo chiamerebbe questo desgropante?” chiese il direttore.
“Ci vuole un nome semplice, di impatto immediato, che la gente ricordi senza fatica e poi ce lo richieda quando torna. Io, disse il maggiore dei due proprietari, propongo “sgropin”, parola semplice, veneta, facilmente ripetibile. Che ve ne pare?”
L’aveva detto il titolare, quindi andava bene così.
Qualche giorno dopo, quando in ristorante ci fu una cena di gala e quel desgropante che De Carli chiamava desgropin e il personale più semplicemente sgropin o anche sgroppino, fu offerto a fine pasto a tutti i commensali, ricevette molti complimenti.
I titolari del ristorante che avevano accolto gli ospiti al loro arrivo, a fine cena erano ancora alla porta per salutarli e ascoltare i commenti.
“Ottima cucina, dicevano, pesce molto buono e piatti tutti ben fatti. Piacevolissimo il digestivo, il vostro sgropin. Ci è piaciuto e lo gusteremo ancora.”
Era l’autunno del 1978: a Gorgo al Monticano, in provincia di Treviso, era nato un digestivo che in pochi anni si diffonderà anche fuori del Veneto ed avrà varie interpretazioni.
Trent’anni dopo, il maggiore dei due fratelli, seduto nella terrazza d’un suo altro ristorante, una villa patrizia veneziana di grande fascino, anche questa restaurata quasi dalle fondamenta, ripensando al suo sgropin che aveva ritrovato nei suoi viaggi anche in Svizzera e in Germania, confidò a un amico: “A Villa Revedin la tequila è stata tolta quasi subito, ma ho dovuto riscontrare in questi anni che altrove non si è quasi mai badato alla qualità del gelato al limone e, in mancanza di vodka si è ricorsi al Prosecco e, purtroppo, anche a spumantini dozzinali. Così va il mondo, caro amico, ma sono contento lo stesso. Il vero sgropin lo si gusta solo nei nostri ristoranti e dove operano persone che hanno collaborato con noi e che non l’hanno voluto cambiare. Anche se il nome, più che il contenuto, è ormai arrivato anche fuori dei confini europei.”