Non
esiste la farina di kamut, come erroneamente scrive sul Corriere della Sera
Angela Frenda
una nota di Giampiero Rorato
Venerdì 26 febbraio la giornalista Angela
Frenda, presente ogni settimana nella pagina gastronomica del Corriere della
Sera, ha preso un abbaglio davvero madornale nel presentare una sua ricetta dal
titolo “La tagliatelle di kamut e
zenzero con burro e foglie di basilico”. Naturalmente o c’è un errore che
non commettono più neppure gli scolaretti di prima elementare o si tratta di
una “ricetta impossibile”, uno scherzo che la giornalista ha voluto giocare ai
lettori per vedere se s’accorgevano dell’inganno.
L'articolo sul Corriere della Sera di venerdì 26 febbraio |
Considerando la signora Frenda una persona
seria e competente, la seguo ogni
settimana e qui mi soffermo su quello che è senza dubbio uno strano ingrediente
da lei usato nella ricetta proposta lo scorso 26 febbtaio per confezionare le
tagliatelle, vale a dire il “kamut”.
A proposito di questa parola cito una delle
massime esperte italiane del settore, la tecnologa dott.ssa Simona Lauri: “La
parola KAMUT prima di tutto non esiste e pertanto non esiste nessun cereale con
quel nome che possa essere macinato e utilizzato… Non è il nome di una specie
botanica (cereale, pseudo cereale ecc.), ma un semplicissimo nome di fantasia,
un marchio commerciale rigorosamente coperto da brevetto e registrato. (da qui
l’uso obbligatorio del simbolino con la
R su tutti i prodotti che lo contengono) Pertanto qualsiasi
utilizzo del nome o parola KAMUT implica l’autorizzazione della Kamut
International ossia della società fondata da Mr Quinn nel 1989 che ne detiene
il brevetto dal 1990 circa.”
Mi è doveroso aggiungere, a scanso di
qualsiasi equivoco, che il Khorasan a marchio Kamut è un grano ottimo e così la
farina con esso prodotta, come correttamente afferma l’azienda del signor Quinn,
ribadendo comunque che non esiste nel mondo un grano.che si chiamo khamut.
Simona Lauri |
Ora, come tutti sanno il grano con la cui
farina la signora Frenda suggerisce la ricetta, peraltro molto interessante, ha
un nome ben diverso, trattandosi del Khorasan
e, come scrive la dott.ssa Lauri, precisando la natura del Khorasan, “secondo recenti studi pubblicati nel 2006 da altri
botanici, s’ipotizza che il grano Khorasan possa essere un ibrido tra il
Triticum polonicum e il Triticum durum, la varietà di grano duro più comune.
L’azienda [di mister Quinn] afferma che il marchio KAMUT identifica una varietà
“pura”, mai modificata dall`uomo; sicuramente è così, ma è bene sapere che, in
ogni caso, in natura le coltivazioni possono mutare e “ibridarsi” naturalmente,
anche senza l’intervento dell’uomo, come appunto dimostrato nel 2006. Lo stesso
grano duro Triticum durum a sua volta discende dal farro (Triticum dicoccum e
Triticum monococcum) che nel corso dei millenni si è ibridato naturalmente con
altre varietà e/o generi differenti.”
Mi sono
soffermato su questo incidente giornalistico – forse voluto - non certo per
spirito polemico - la cosa sarebbe oltremodo sciocca e lontanissima da me - ma
perché si tratta di un errore purtroppo ripetuto molto spesso ed anche da
cosiddetti esperti, un brutto errore che reca grave danno all’immagine del Khorasan italiano, con la cui farina è
prodotta, fra l’altro, un’ottima pasta commercializzat con il nome Khorasan Santacandida®.
Infatti, e cito sempre la dott.dssa Lauri,
un’autorità nel settore, il Khorasan “è invece un grano autoctono della zona italiana
compresa tra Marche–Abruzzo–Molise–Lucania e Irpinia se conosciuto con il nome
scientifico della sua varietà oppure con il nome comune di Saragolla. Come tale
è quindi presente nell’elenco delle varietà coltivate e reperibili nel sito del
Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali. E’ coltivato in aree
non molto vaste, è una varietà invernale, un grano antico e abbastanza di
nicchia. Con il nome scientifico non lo conosce nessuno.. “.
Chicchi di grano Khorasan |
Tutto qui, mi è parso doveroso intervenire –
senza nulla togliere al valore indiscutibile del Khorasan Kamut° - anche perché
è finalmente ora di essere orgogliosi dei prodotti agroalimentari italiani, che
sono, per unanime convinzione degli esperti internazionali, fra i migliori al
mondo ed è un nostro dovere civico di italiani sentirci impegnati a difenderli
e valorizzarli. Non per nulla nel mondo
viene venduta come fosse di origine italiana una grande quantità di prodotti
dal nome italiano o segnati nella confezione da un bel tricolore – pasta, riso,
salumi, prosciutti, formaggi, olio extravergine d’oliva, vino, ortaggi, frutta,
ecc – proprio perché all’estero conoscono l’altissima qualità
dell’agroalimentare italiano.
È dunque nostro dovere difendere lo
straordinario patrimonio agroalimentare italiano con fermezza e intelligenza,
non cadendo in pericolosi errori, come è successo alla giornalista del Corriere
della Sera, errore duplice, perché non esiste un grano kamut e perché esiste
invece il Khorasan italiano che è stato ancora una volta tristemente ignorato.