lunedì 29 febbraio 2016

Anche gli esperti possono sbagliare

Non esiste la farina di kamut, come erroneamente scrive sul Corriere della Sera Angela Frenda

una nota di Giampiero Rorato

Venerdì 26 febbraio la giornalista Angela Frenda, presente ogni settimana nella pagina gastronomica del Corriere della Sera, ha preso un abbaglio davvero madornale nel presentare una sua ricetta dal titolo “La tagliatelle di kamut e zenzero con burro e foglie di basilico”. Naturalmente o c’è un errore che non commettono più neppure gli scolaretti di prima elementare o si tratta di una “ricetta impossibile”, uno scherzo che la giornalista ha voluto giocare ai lettori per vedere se s’accorgevano dell’inganno.

L'articolo sul Corriere della Sera di venerdì 26 febbraio


Considerando la signora Frenda una persona seria e competente, la seguo  ogni settimana e qui mi soffermo su quello che è senza dubbio uno strano ingrediente da lei usato nella ricetta proposta lo scorso 26 febbtaio per confezionare le tagliatelle, vale a dire il “kamut”.

A proposito di questa parola cito una delle massime esperte italiane del settore, la tecnologa dott.ssa Simona Lauri: “La parola KAMUT prima di tutto non esiste e pertanto non esiste nessun cereale con quel nome che possa essere macinato e utilizzato… Non è il nome di una specie botanica (cereale, pseudo cereale ecc.), ma un semplicissimo nome di fantasia, un marchio commerciale rigorosamente coperto da brevetto e registrato. (da qui l’uso obbligatorio del simbolino con la R su tutti i prodotti che lo contengono) Pertanto qualsiasi utilizzo del nome o parola KAMUT implica l’autorizzazione della Kamut International ossia della società fondata da Mr Quinn nel 1989 che ne detiene il brevetto dal 1990 circa.”
Mi è doveroso aggiungere, a scanso di qualsiasi equivoco, che il Khorasan a marchio Kamut è un grano ottimo e così la farina con esso prodotta, come correttamente afferma l’azienda del signor Quinn, ribadendo comunque che non esiste nel mondo un grano.che si chiamo khamut.


Simona Lauri



Ora, come tutti sanno il grano con la cui farina la signora Frenda suggerisce la ricetta, peraltro molto interessante, ha un nome ben diverso, trattandosi del Khorasan e, come scrive la dott.ssa Lauri, precisando la natura del Khorasan, “secondo recenti studi pubblicati nel 2006 da altri botanici, s’ipotizza che il grano Khorasan possa essere un ibrido tra il Triticum polonicum e il Triticum durum, la varietà di grano duro più comune. L’azienda [di mister Quinn] afferma che il marchio KAMUT identifica una varietà “pura”, mai modificata dall`uomo; sicuramente è così, ma è bene sapere che, in ogni caso, in natura le coltivazioni possono mutare e “ibridarsi” naturalmente, anche senza l’intervento dell’uomo, come appunto dimostrato nel 2006. Lo stesso grano duro Triticum durum a sua volta discende dal farro (Triticum dicoccum e Triticum monococcum) che nel corso dei millenni si è ibridato naturalmente con altre varietà e/o generi differenti.”

 Mi sono soffermato su questo incidente giornalistico – forse voluto - non certo per spirito polemico - la cosa sarebbe oltremodo sciocca e lontanissima da me - ma perché si tratta di un errore purtroppo ripetuto molto spesso ed anche da cosiddetti esperti, un brutto errore che reca grave danno all’immagine del Khorasan italiano, con la cui farina è prodotta, fra l’altro, un’ottima pasta commercializzat con il nome   Khorasan Santacandida®.

Infatti, e cito sempre la dott.dssa Lauri, un’autorità nel settore, il Khorasan “è invece un grano autoctono della zona italiana compresa tra Marche–Abruzzo–Molise–Lucania e Irpinia se conosciuto con il nome scientifico della sua varietà oppure con il nome comune di Saragolla. Come tale è quindi presente nell’elenco delle varietà coltivate e reperibili nel sito del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali. E’ coltivato in aree non molto vaste, è una varietà invernale, un grano antico e abbastanza di nicchia. Con il nome scientifico non lo conosce nessuno.. “.


Chicchi di grano Khorasan

Tutto qui, mi è parso doveroso intervenire – senza nulla togliere al valore indiscutibile del Khorasan Kamut° - anche perché è finalmente ora di essere orgogliosi dei prodotti agroalimentari italiani, che sono, per unanime convinzione degli esperti internazionali, fra i migliori al mondo ed è un nostro dovere civico di italiani sentirci impegnati a difenderli e valorizzarli.  Non per nulla nel mondo viene venduta come fosse di origine italiana una grande quantità di prodotti dal nome italiano o segnati nella confezione da un bel tricolore – pasta, riso, salumi, prosciutti, formaggi, olio extravergine d’oliva, vino, ortaggi, frutta, ecc – proprio perché all’estero conoscono l’altissima qualità dell’agroalimentare italiano.


È dunque nostro dovere difendere lo straordinario patrimonio agroalimentare italiano con fermezza e intelligenza, non cadendo in pericolosi errori, come è successo alla giornalista del Corriere della Sera, errore duplice, perché non esiste un grano kamut e perché esiste invece il Khorasan italiano che è stato ancora una volta tristemente ignorato.