sabato 10 agosto 2024

 

Venezia: la tradizione gastronomica

 

 

Le isole della laguna erano già abitate in epoca paleoveneta, al pari di Altinum, città della quale abbiamo numerose testimonianze di autori latini relative ai prodotti agroalimentari e ai cibi disponibili. Non così per gli abitanti delle isole, infatti il primo documento che ci dà una qualche informazione sulla loro alimentazione è la celebre lettera che Cassiodoro, il grande rètore giunto a Ravenna dalla natia Squillace al servizio di Teodorico, scrisse nell’anno 537 ai tribuni marittimi della Venezia: “Un’unica risorsa hanno gli abitanti [delle isole], quella di mangiare solamente pesci a sazietà. Ivi ricchi e poveri vivono allo stesso modo. Un identico cibo sostenta tutti…”.

Quando Cassiodoro scrive questa lettera correvano tempi grami per gli abitanti delle Venezie, per le continue invasioni di sanguinarie orde straniere, già allora definite “barbariche”. Il periodo peggiore è quello che va dalla metà del V secolo, quando Attila invase il Veneto, mettendolo a ferro e fuoco, a oltre due secoli più tardi, quando, dopo aver scorazzato per gli stessi luoghi, depredando e distruggendo città e villaggi, i Longobardi, convertiti al cristianesimo romano (prima, infatti, erano ariani), rallentano le loro scorrerie, facendo rinascere la vita in terraferma, grazie anche all’ala protettrice dei monasteri benedettini.  In quei due terribili secoli da Julia Concordia, Altinum, Opitergium, Tarvisum, Padua e dalle terre d’attorno, gli abitanti furono costretti più volte ad abbandonare precipitosamente le loro case, trovando salvezza, rifugio e una nuova patria nelle isole della laguna, dando così origine alla città di Venezia. 

Inizialmente il cibo era dato ancora dal pesce, poi, grazie a situazioni più tranquille, s’erano andati sviluppando nuovi e interessanti rapporti tra la laguna e la terraferma con lo scambio di prodotti della campagna, carni e cereali soprattutto, con il sale  prodotto nelle isole.

Con il passare del tempo le condizioni alimentari migliorano e Pompeo Gherardo Molmenti, ne La storia di Venezia nella vita privata, riferendosi ai secoli antecedenti e attorno al Mille, afferma che “il vitto dei primi Veneziani, oltre che di carne di bove, di capretto, di maiale, era composto anche da quanto offriva in gran copia la caccia e la pesca, che sappiamo quanto fossero attive. Sulle lagune, numerosi gli uccelli palustri, come le anitre selvatiche (osele), i maggioringhi (i germani reali), le folaghe, i chiurli, le cercerdule, le arzagole; di svariate specie i pesci dell’Adriatico e dei fiumi; abbondante la selvaggina nelle selve dell’Estuario. Erbaggi e frutta si ritraevano delle campagne e dagli orti dell’Estuario. S’intende che, pur non dipartendosi la città in sul principio da un modesto tenore di vita, le mense dei ricchi e dei poveri erano variamente fornite. Oltre che più copiose e di più larga scelta, le vivande dei ricchi doveano essere condite con molte spezie, che venivano in gran quantità dall’Oriente. Così dalla Siria e dall’Egitto, sin dal 996, fu portato lo zucchero, che divenne quasi un monopolio per i Veneziani, i quali giunsero nella raffinatura a una perfezione maggiore che altrove. Non tardò quindi l’uso delle pasticcerie, e le carte antiche parlano spesso di marzapani, zeli (zaletti), pignocade, codognade, storti, occhietti, spongade e specialmente di scalette, dalle quali venne la denominazione vernacola di scaletteri ai pasticcieri.”

Come si vede, le tavole veneziane in pochi secoli s’erano notevolmente arricchite e lo saranno ancor più dopo la spedizione in Adriatico del doge Pietro Orseolo II, avvenuta allo scoccare dell’anno Mille e soprattutto dopo la conquista di Costantinopoli del 1204, quella impropriamente chiamata la “Quarta Crociata”, in seguito alla quale Venezia divenne la dominatrice dei mari e il grande emporio europeo delle spezie. 

“Con la prosperità – scrive ancora il Molmenti – crebbe il gusto della buona tavola, e vi si aggiunse l’amore del lusso, che diventò così diffusa consuetudine ne’ banchetti da parere disdicevole; ond’è che hanno principio nel XIV secolo le leggi moderatrici dell’eccessivo dispendio nei pranzi e nelle cene.”

Una testimonianza preziosa del cibo delle case signorili veneziane, ma anche di quelle della terraferma alle spalle di Venezia, la troviamo nel Libro per cuoco, scritto verso la fine del XIV secolo da un autore, cuoco o gastronomo, rimasto anonimo, ma sicuramente veneziano o veneto, le cui 135 ricette mostrano la ricchezza della tavola veneziana, dove emerge, fra l’altro, l’impiego di una straordinaria quantità di spezie (24 volte “spezie generiche”; 2 ”spezie bone”; 13 “spezie dolci”; 16 “spezie dolci e forti”; 5 “spezie dolci fini”; 9 “spezie fini”; 3 “spezie forti”, per un totale di 72 impieghi di spezie miste per 135 ricette. Inoltre: sono impiegati 4 volte l’anice, 7 la cannella, 4 il cardamomo, 27 i chiodi di garofano, 17 il cinnamomo, 1 volta il coriandolo, 10 la noce moscata, 8 il pepe, 4 il pepe lungo, 3 il sommaco, 30 lo zafferano, 29 lo zenzero).

I prodotti fin qui ricordati, presenti nella cucina veneziana medioevale: pesce e naturalmente crostacei e molluschi, uccelli di valle, selvaggina di piuma e di pelo, carni bovine, caprine e suine, frutta, ortaggi, zucchero, spezie, dolci e biscotti vari, rappresentano la base della successiva cucina che andrà arricchendosi e ingentilendosi con ulteriori proposte, anche nella ricerca di quel piacere della tavola, frutto non solo della nuova ricchezza ma di una cultura gastronomica che, nel Rinascimento,  pone Venezia ai vertici della cucina europea.

Grazie agli intensi scambi col Levante, il Nord Africa, la Spagna e i Paesi bagnati dall’Oceano Atlantico e ai tanti prodotti importati, i cuochi veneziani variano, affinano e ingentiliscono i piatti, soprattutto in occasione delle tante feste tenute nel corso dell’anno, facendo loro acquistare una ben precisa identità. Già nel Quattrocento e ancor più nei secoli successivi, la cucina veneziana del patriziato e della ricca borghesia si distingue da altre cucine delle corti italiane  per la possibilità di operare con una maggior varietà di prodotti, per un’accurata scelta della materia prima, per l’uso delle spezie e soprattutto per preparazioni che mostrano un respiro internazionale.

E a proposito della grande disponibilità di prodotti, merita citare un breve dialogo fra il borghese Lissandro e l’oste Menego nella commedia goldoniana Chi la fa l’aspetta del 1764. A un certo punto della trattativa fra i due per preparare una cena in casa di Lissandro si parla di carne:

Osto: Cossa vorla de rosto?

Lissandro: Cossa gh’aveu de bon?

Osto: Lonza, Straculo, Cinghial, Lievro, Agnello, Cavretto, Polastri, Dindj, Capponi, Anere, Quagge, Gallinazze, Beccanotti, Pernise, Francolini, Fasani, Beccafighi, tutto quel che la vol.

Lissandro: Tutta sta roba gh’avé?

Osto: La comandi, e no la dubita gnente. Semo a Venezia, sala! No ghe nasse gnente, e ghe xe de tutto, e a tutte le ore, e in t’un batter d’occhio se trova tutto quel che se vol. La comandi.

Da allora, la cucina veneziana continua  ad attingere a piene mani ai prodotti delle isole, della laguna, del mare Adriatico e della terraferma e della montagna veneta e friulana, nonché, come in passato, ai tanti prodotti importati e possiede ancor oggi  profumi e sapori che richiamano l’Oriente, come ha piatti che si trovano nei Paesi che appartennero in passato alla Dominante.

 

La cucina veneziana attuale

Come la storia, anche la cucina è sempre in movimento, resta comunque vero che i piatti più caratteristici della cucina veneziana attuale arrivano da lontano. Il baccalà mantecato, ad esempio, realizzato la prima volta all’inizio del ‘600, quando l’influenza della lingua spagnola – gli Spagnoli dominarono Milano e la Lombardia dal 1535 al 1706 – fece cambiare il nome al merluzzo essiccato che, da stoccafisso divenne nel Veneto baccalà ed è leccornia ancor oggi presente in tutti i locali veneziani. Lo stoccafisso fu conosciuto per la prima volta 1432 dal capitano de mar veneziano Piero Querini, in seguito  al suo naufragio nelle Lofoten, ma arrivò a Venezia solo dopo la conclusione del Concilio di Trento, avvenuta nel 1563. E da lontano arriva la castradina, tradizionale ancor oggi nella festa della Madonna della Salute, il 21 novembre, realizzato con la carne di castrato che i veneziani conoscono già dal 1173,. come attesta il calmiere del doge Sebastiano Ziani in cui è menzionata la sicce vero carnis de Romania et de Sclavinia, a indicare la provenienza di quella carne dalla Dalmazia meridionale, dal Montenegro e dall’Albania. Era infatti lungo quelle coste che le navi veneziane caricavano le mezzene di castrato essiccato e affumicato, quale preziosa scorta alimentare. E quando le navi tornavano a Venezia la carne rimasta veniva data ai marinai e doveva essere consumata, per disposizione delle autorità, entro il 21 novembre di ogni anno.

Fra i piatti veneziani d’antica storia ci sono gli sfogéti in saòr, per secoli il piatto dei pescatori nella cena organizzata lungo le rive della loro parrocchia di Santa Marta, in occasione della festa della patrona, il 29 luglio. Poi, introdotte a Venezia dagli Schiavoni, arrivarono anche le sarde in saòr, presenti da sempre in Dalmazia, gustate in barca nella notte del Redentore.

Nel ‘500 arriva nella terraferma veneta anche il riso e i piatti di più antica datazione sono i risi co’ l’ua (minestra di riso con l’uva passa) di chiara ispirazione bizantina; i risi e bisi, che era il piatto immancabile sulla tavola del Doge il 25 aprile, festa del patrono san Marco; i risi cola castradina, conditi con un sugo di carne di castrato; i più popolari risi cola fongadina (con le frattaglie di vitello o d’agnello) e, prima che tramonti il secolo, soprattutto nelle isole, ecco arrivare in tavola risi e fasioi in brodo de gò. Nei secoli seguenti arriveranno altri risotti, arricchiti di sapore con ogni tipo di pesci, molluschi e crostacei, con le verdure dell’estuario e con altre carni. Ne citiamo uno, particolarmente interessante, divenuto in tempi recenti minestra asciutta, il risotto co le sécole, cioè con i pezzetti di carne rimasti attaccati alle ossa dopo che il bovino è stato interamente spolpato, grande gloria gastronomica della cucina veneziana dei secoli passati.

Molto prima di questi piatti ce n’erano comunque altri di molto interessanti, soprattutto in casa dei pescatori, fra cui la sopa de pesse, ottenuta con gli scarti del pescato, che, diventando asciutta, si trasformò in un altro piatto delizioso, il brodetto de pesse, uno stufato che si trova solo in territorio veneziano e a Grado e poi ancora l’anguilla, molto ricercata e preparata in tanti modi, alcuni ormai dimenticati: bisato in grea, bisato a la caéna, bisato in speo, bisato su l’ara, bisato scotà, bisato imbriago, bisato infumegao (a Chioggia), bisato incoconao (altra ricetta chioggiotta), bisato marinà e bisato fritto. Queste ricette danno conto della fantasia dei veneziani del passato e della loro capacità di realizzare preparazioni molto gustose e appetitose con una materia prima facilmente reperibile, come lo erano anche, in laguna, i folpi, i go, le varie famiglie di cefali, fra cui i lotregani e le volpine.

Venezia, come scriveva Cassiodoro, ha sempre fatto uso di pesce, specie il popolo minuto e le cotture erano principalmente due: il pesce piccolo veniva fritto, il grande bollito

E i patrizi? La loro era molto diversa, era cucina di carne, che a Venezia è quasi scomparsa, rifugiatasi comunque nell’adiacente terraferma dove continua a primeggiare su tutte le tavole.

Possiamo fermarci qui, aggiungendo soltanto che al tempo della Belle Époque, poco più di un secolo fa, con l’avvento del turismo, essendo Venezia città di mare, la sua cucina è andata privilegiando decisamente il pesce, elevando a livelli di alta gastronomia l’antica cucina dei pescatori e del popolo, introducendo, anche nei locali più alla moda, moéche, masanéte, schie, gamberetti di laguna, folpi e pesce azzurro e  conservando decisamente i vecchi piatti isolani, come le castraùre di Sant’Erasmo, frutto di una civiltà che, nei secoli della Serenissima, ha idealmente unito a tavola Occidente ed Oriente.