mercoledì 11 marzo 2009

Natura, Naturalità e Valore simbolico del Vino

Vinum in Villa
Villa Foscarini Rossi – Strà (VE) – 21.02.09
Conversazione di Giampiero Rorato


Mi prendo la libertà di esulare dall’interpretazione consueta delle parole natura e naturalità, che formano oggetto del presente incontro – sul cui valore, in riferimento alla qualità dei prodotti agroalimentari, non ci sono dubbi - per cercare di penetrarne, avendo come riferimento il vino, il significato più vero e più recondito, coglierne il valore semantico che è dato non solo e non tanto dai rimandi indicati dai dizionari, ma dai significati che, nel corso dei millenni, l’uomo ha loro attribuito e, nel contempo, ricavato; significati che sono, in definitiva, delle direttrici di vita, perché accanto ai vegetali - in particolare alla vite e con la vite e il vino anche il frumento e il pane - ci siamo anche noi, noi uomini, anzi, noi persone. Anche noi, come ci insegna la nostra civiltà, dobbiamo far nostre le indicazioni che riusciamo a ricavare dal significato dei due termini che sono oggetto della nostra discussione, come dire che la vita degli uomini e di quant’altro esiste risponde a un disegno insito nella nostra natura, un disegno che va al di là del nostro essere nel tempo e che coinvolge tutta la realtà, che è poi quella che gli uomini di fede chiamano il creato, l’opera di Dio creatore..
Soffermiamoci dunque, pur molto brevemente, sul pane e soprattutto sul vino, da sempre accostati nella civiltà del Mediterraneo, e mi si lasci seguire con fedeltà il prezioso ragionamento di Enzo Bianchi, il fondatore e priore della Comunità di Bose, uno degli uomini più lucidi e di grande sapienza che oggi possa vantare il nostro Paese, un ragionamento espresso nell’ultima sua opera, Il Pane di ieri (Einaudi, 2008).

Il pane

“Il pane, scrive Enzo Bianchi, è simbolo della natura e, insieme, della ‘cultura’, dell’agire dell’uomo in armonia con la natura. ‘L’uomo trae il pane dalla terra’ narra con forza evocativa il salmo 104, scritto molti secoli prima di Cristo, a ricordare che il pane è lì, ma al contempo solo l’uomo sa ‘trarlo fuori’, sa chiamarlo alla vita.
Il pane, cibo reale eppur simbolico, è capace di evocare una realtà che va al di là del nutrimento materiale e di suscitare domande sul senso di ciò che fa vivere.
Nel suo essere frutto della terra e del lavoro dell’uomo, della natura e della cultura, - in questo duplice insieme sta la naturalità del pane, che non è solo un dato fisico-chimico e neppure solo un prodotto agroalimentare, perché è anche e soprattutto un dato culturale - il pane esprime il bisogno, ciò che davvero è necessario per vivere. Non a caso la parola ‘pane’ indica cibo essenziale e non superfluo: quando diciamo che non c’è ‘pane’, evochiamo fame e carestia, così come del fenomeno migratorio non c’è spiegazione più tragicamente semplice dell’evidenza che sempre gli affamati corrono verso il pane perché il pane non corre dove c’è la fame.
Una corsa – quella cui assistiamo oggi, mi si lasci aggiungere – dalle sponde meridionali a quelle settentrionali del Mediterraneo, che segue il percorso compiuto proprio dalla cultura del pane quasi cinquemila anni fa. Pane, allora, anche come cifra della nostra capacità di condivisione, della nostra disponibilità o meno a spezzarlo perché tutti ne possano avere, pane che, secondo i racconti evangelici, basta per tutti solo quando è spezzato e condiviso.”
Il pane è dunque frutto ed espressione della nostra civiltà, alimento essenziale per la vita degli uomini, ma anche elemento di divisione dell’umanità, fra chi ce l’ha e chi non ce l’ha e questi ultimi sono ancora la maggioranza. Ecco qual è la natura del pane, al di là del suo essere prodotto con elementi naturali quali: farina, acqua, lievito e sale.

Il vino

E il vino? Ho citato il pane perché il valore del vino è analogo a quello del pane, supera il ristretto limite del territorio per diventare valore universale, caratterizzato, certo, dal luogo di nascita, il suo terroir, ma questo – il terroir - è una specie di accidente, la sostanza è ben altro, è il vino in quanto vino e la sua qualità e il suo valore dipendono anche dal suo terroir, ma non è il suo terroir.
“Il vino, scrive il priore della Comunità di Bose, è il frutto della vigna. E, come la vigna, è ricco di doni concreti e, al contempo, denso di rimandi simbolici. Da sempre, “dai tempi di Noè” appunto, accanto al pane del bisogno, al pane che sfama, al pane quotidiano necessario per vivere, l’uomo ha avuto il vino della gratuità e della festa: una bevanda non necessaria alla sopravvivenza, ma preziosa per la consolazione, la gioia condivisa, l’amicizia ritrovata.”
Fermiamoci un istante col patriarca Noè.
“Nel grande codice della nostra cultura, la Bibbia, si narra il mito di Noè che per primo piantò e coltivò una vigna. Sopravissuto al diluvio universale che aveva accomunato umanità e natura nella devastazione, Noè per prima cosa pone un gesto di grande speranza, contrae un matrimonio con la terra: già il piantare un albero, infatti, è compiere un gesto di grande speranza, ma piantare una vigna lo è ancor di più perché occorrono anni per goderne il frutto, occorre decidere di fare alleanza con quella terra, di fermarsi là, di lavorarla a lungo in pura perdita. Possiamo immaginarci lo stupore di Noè quando ha finalmente tra le mani quei grappoli a lungo attesi, lo possiamo quasi vedere affascinato e sedotto da un fatto misterioso: avendo spremuto quei grappoli vendemmiati per berne il succo, si accorge che questo fermenta, diventa mosto, ribolle, si solleva, come il ventre di una donna incinta, come l’impasto di acqua e farina di cereali.
Noè beve quel succo in cui scorge una vitalità inattesa, ne prova allegria, si sente consolato per tutta la tristezza provata durante il diluvio.
Dunque il vino: bevanda che, bevuta in solitudine, ne stordisce l’amarezza solo per accentuarne la tristezza, ma anche bevanda che, gustata nell’intimità di un’amicizia, ne esalta il sapore e ne affina il piacere.
Bevanda esigente, anche, perché richiede a chi la beve lo sforzo di liberarsi dalla schiavitù dell’efficienza esasperata per abbandonarsi alla gratuità senza la quale la vita è priva di sapore; bevanda che invita a cantare la vita, a immettere nella consapevolezza della morte la volontà di dire un sì alla vita.
Forse è per tutti questi aspetti – oltre che per il discernimento che richiede nel conoscere se stessi, i propri limiti e quelli degli altri - , è per questa lettura dell’esistenza nel segno della gratuità e della gioia condivisa che il vino è divenuto nella Bibbia e in altre tradizioni spirituali il simbolo della sapienza. Sapienza perché dà “sapore” alla vita, ma anche perché il vino sa sciogliere il cuore e farne emergere ciò che davvero lo abita, sa trasformare la semplice assunzione di cibo in un banchetto, così come la fermentazione ha trasformato l’umile succo d’uva in bevanda inebriante..
E, accanto alla sapienza, altri due elementi indispensabili alla vita piena dell’uomo sono simboleggiati dal vino: l’amore e l’amicizia.
Non a caso l’intera vicenda amorosa narrata dal Cantico dei cantici si snoda sul registro delle vigne, dei grappoli d’uva, del vino, fino a consumarsi nella “cella vinaria”. Chi non ricorda l’inizio di questo poema, considerato la più bella poesia d’amore mai composta?
Mi baci con i baci della tua bocca!
Sì, migliore del vino è il tuo amore.
Inebrianti sono i tuoi profumi per la fragranza,
aroma che si spande è il tuo nome.
E lei così presenta il suo amato:
L’amato mio è per me un grappolo di cipro
Nelle vigne di Engaddi!
Alla sua ombra desiderata mi siedo,
è dolce il suo frutto al mio palato.
Mi ha introdotto nella cella del vino
E il suo vessillo su di me è amore.
E nel quinto poema lui canta:
Siano per me i tuoi seni come grappoli d’uva
E il tuo respiro come profumo di miele.
Il tuo palato come vino squisito,
che scorre morbidamente verso di me
e fluisce sulle labbra e sui denti!
Il Cantico termina con un paragone che lascia estasiati:
Salomone aveva una vigna a Baal-Amon:
egli affidò la vigna ai custodi.
Ciascuno gli doveva portare come suo frutto
mille pezzi d’argento.
La mia vigna, proprio la mia, mi sta davanti:
tieni pure, Salomone, i mille pezzi d’argento
e duecento per i custodi dei suoi frutti!
Come dire che il tesoro più bello, la donna amata, simbolicamente indicata nella vigna, il giovane amante ce l’ha con sé e non vi rinuncia per quanto argento gli potessero dare.
Anche altri libro della Bibbia fanno riferimento al vino e non a caso il Siracide ricorda che “l’amico nuovo è come il vino nuovo: bevilo quando sarà invecchiato”; non a caso nel banchetto promesso per la fine dei tempi ci saranno cibi succulenti e vini eccellenti; non a caso Gesù stesso porrà il suo primo “segno” alle nozze di Cana sotto il sigillo di una gioia condivisa grazie al vino migliore e lascerà ai suoi discepoli il comandamento nuovo dell’amore attorno al “segno” di un pane spezzato e di una coppa di vino versato perché tutti abbiano la vita in pienezza.
Ho voluto porre il vino accanto al pane, “il gratuito accanto all’essenziale, il dono accanto al necessario, la gioia accanto alla sostanza: il pane fa vivere, il vino dà gusto alla vita; il pane ritempra le forze, il vino rallegra il cuore; il pane fa corpo con il lavoro, il vino ne addolcisce le fatiche. Pane e vino sulla tavola sono là a ricordarci la grandezza dell’uomo e a interpellare la nostra sensibilità: quanta fatica e quanta speranza sono raccolti in questi due semplici alimenti, quanti volti appaiono dietro di loro!
Il contadino e il mugnaio, il fornaio e il vignaiolo, e poi il bottaio e il mercante, le loro famiglie e i loro bambini, le ansie e le speranze di un anno, le grida della vendemmia e il silenzio delle cantine, il rumore della mola e il pigiare nei tini.
E ora sono lì, raccolti sulla nostra tavola, a narrarci la qualità della nostra umanizzazione, a interpellarci su chi siamo e su come desideriamo che sia il nostro mondo.
La storia, se abbiamo l’umiltà di leggerla con sincerità e attenzione, ci parla dei valori contenuti in questi due alimenti e soprattutto nel vino. L’abbiamo visto. La sapienza, l’amicizia, l’amore, questi doni che non hanno prezzo ma di cui conosciamo il valore inestimabile, sono simboleggiati da una bevanda che proprio la sapienza dell’uomo e il suo amore per la terra hanno saputo scoprire tra i doni postigli innanzi da una natura che non attendeva altro che di essere trasformata in cultura di vita per la vita.”
Questa è la vera natura del vino. Così va vissuta, così va proposta, così va promossa, perché il vino racconta la storia della nostra umanità e lui stesso è protagonista della civiltà mediterranea, è la sintesi dei suoi valori più belli: l’amicizia, l’amore, la sapienza, la solidarietà. La tecnologia produttiva è importante, come il suo rapporto con il luogo dove nasce, cosa ovvia per il vino di qualità, come la sua capacità di esprimere al meglio il proprio terroir, ma questo viene dopo.
Se il vino non avesse i significati e i valori prima ricordati, sarebbe solo una tra le tante bevande, un valore economico fra tanti altri e tradirebbe la sua natura più vera. E se si limitasse ad essere solo bevanda, pur naturale, pur espressione del luogo ove è coltivata la vite di provenienza, avrebbe davvero perso la sua natura più vera, la sua valenza culturale e simbolica, ciò che caratterizza e non poco la nostra vita e la civiltà occidentale.