lunedì 9 gennaio 2012

I dolci di Carnevale, un po’ di storia e una ricetta

di Giampiero Rorato

Nella Repubblica di Venezia il Carnevale iniziava il 26 dicembre e continuava fino al Mercoledì Grasso. Il giorno dopo, Mercoledì delle Ceneri, iniziava la Quaresima.
A Venezia, dunque, in Carnevale era molto lungo ed era caratterizzato dalla stagione teatrale che vedeva la presentazione nei teatri cittadini, soprattutto nel Settecento, di commedie, commedie in musica, tragedie, melodrammi e intermezzi giocosi. Va ricordato che fin quasi alla metà del secolo vigeva la cosiddetta Commedia dell’Arte, che si basava su un semplice canovaccio interpretato in modo ogni volta diverso dagli attori in maschera. Fu Carlo Goldoni a compiere la rivoluzione, introducendo progressivamente, soprattutto dagli anni 40 del ‘700, un testo scritto cui gli attori dovevano attenersi, mentre le maschere vennero via via eliminate, eccezion fatta per Arlecchino e qualche altro personaggio, tuttavia presente sempre meno nelle commedie dagli anni 50 in poi. Nei Carnevali di quegli anni, nei sette teatri veneziani c’erano molte rappresentazioni che erano l’attrazione principale dei veneziani mentre poi, soprattutto nell’ultimo mese, c’erano le Cavalchino, gran balli mascherati e feste popolari in tutti i sestieri.
E c’erano, naturalmente, i dolci di Carnevale e non solo a Venezia, perché il Carnevale era festa popolare in tutta Europa e anche oltreoceano.
Per una pur breve carrellata sui dolci carnevaleschi partiamo da Venezia, la patria delle frittelle. Questi dolcetti erano presenti nella città di San Marco almeno dal XIII° secolo, quale evoluzione della Zelabia arabo-persiana, fatta  conoscere ai veneziani da Giambonino da Cremona e subito adottata col nome di frìtola. Ma ci sono anche i galani (così chiamati perché a forma di nastri), nel resto del Triveneto chiamati crostoli (dal latino “crustula”, croste di pasta fritta addolcite col miele). Altro dolce tipico di queste regioni sono le castagnole, piccole sfere di pasta dolce, con o senza uvetta, grandi pressappoco come le castagne, anche queste fritte come le frittelle e i galani e presenti anche in Liguria e nelle Marche e in altre regioni italiane.
I galani o crostoli sono diffusissimi in tutta italia, pur con leggere varianti e cambiano nome a seconda dei luoghi. Per fare qualche esempio, ricordiamo che sono chiamati chiacchiere (a Milano, nell’Italia centro-meridionale, a Sassari); bugie (in Piemonte e Liguria); frappe (Roma e Ancona); cenci a Firenze; e, altrove, in altri modi ancora.
Per fare qualche altra citazione, ricordiamo che a Piacenza si preparano i tortelli dolci; a Napoli ci sono le zeppole fritte, dette anche zeppole di San Giuseppe; in Sardegna i culigiones; a Firenze, assieme a cenci e frittelle c’è la schiacciata alla fiorentina; in Basilicata i taralli al naspro; a Messina e Reggio Calabria, le due città dello stretto, si prepara la pignolata glassata; a Napoli e anche in altre aree del Sud troviamo il migliaccio di semolino (anticamente a base di farina di miglio, da cui il nome).
Già da queste prime indicazioni si può vedere che la tradizione dei dolci di carnevale è molto ricca e, in diversi casi, risale ai tempi dell’antica Roma, se non addirittura, nel Sud Italia, alla Magna Grecia, che risale all’VIII° secolo prima di Cristo.
È tradizione, in numerosi ristoranti italiani, al termine del pranzo e della cena, portare in tavola un vassoio di dolci carnevaleschi, preparati in gran quantità dai fornai e dai pasticceri, ma anche in moltissime case, dove si vive la tradizione come legame con la storia. Si tratta allora, come si può capire, di un fatto culturale e non solo di un evento festoso, perché inquadra il Carnevale come momento caratteristico dell’anno che ci fa, tra l’altro, uscire dall’inverno per introdurci nella primavera e, attraverso la partecipazione a feste di paese, sfilate di carri mascherati, preparazione di dolci tipici, ci ricollega alla storia passata che è in noi, scolpita nel nostro Dna e ci spinge a pensare e ad agire secondo il deposito culturale che è nell’archivio della nostra memoria.
Il Carnevale va quindi vissuto nel ricordo del suo antico significato – che era l’inversione dei ruoli sociali e il divertimento senza regole – ma con moderazione, inteso quale periodo di evasione dallo strass che ci infligge il resto dell’anno.
E, per i dolci, ecco la ricetta, leggermente ammodernata, delle antiche

Frittelle veneziane con l’uvetta:
Ingredienti:  6 uova, 550 g di farina bianca 00, 150 g di uvetta sultanina, 130 g di zucchero, 30 g di pinoli, 40 g di lievito di birra, 1 bicchierino di grappa o rhum, 1 buccia di limone, 1 presa di cannella in polvere, zucchero a velo, grasso o olio per friggere, un po’ di sale. 
Metti l’uvetta a bagno nella grappa (o nel rhum). 
Metti in una terrina la farina setacciata e disponi tutto intorno lo zucchero, versa nel centro il lievito diluito nell’acqua tiepida, unisci i tuorli e impasta il tutto fino a ottenere un composto omogeneo. Se necessario aggiungi un po’ d’acqua.
Unisci la presa di cannella, il sale, la buccia di limone grattugiata, i pinoli tagliati a piccoli pezzi e l’uvetta scolata dalla grappa. 
Lavora bene l’impasto con un cucchiaio di legno per circa 15 minuti. 
Coprilo con un panno e lascialo lievitare per circa 15 minuti in un luogo caldo. 
In una padella con l’olio a giusta temperatura versa a cucchiaiate il composto; 
fa friggete le frittelle da ambo le parti e, quando risultano dorate, scolale su carta assorbente da cucina (o da macellaio) e cospargile di zucchero a velo.
Disponile su un piatto di ceramica con carta assorbente e servile belle calde.