lunedì 4 gennaio 2016

Appunti di storia della gastronomia / Che significa "gastronomia"?

Gastronomia
Per valutare correttamente la cucina moderna, quella degli chef più celebrati, serve prima tornare alle origini

[Le foto mostrano alcuni dei ristoranti simbolo dell’alta cucina italiana]
di Giampiero Rorato

Credo sia utile soffermarci un po’ su una parola che ha attraversato i millenni, dal IV sec. prima di Cristo ai nostri giorni e attualmente intesa e usata spesso in modo inappropriato. 

Dal Pescatore a Canneto sull'Oglio


Mi riferisco alla parola gastronomia che, nel corso del tempo, ha avuto le più diverse interpretazioni e le sono stati attribuiti dei significati fra loro anche contrastanti.
Gastronomia deriva dall’unione di due parole greche: gastèr, stomaco, ventre e nòmos, norma, regola, legge, per cui il suo significato letterale è “governo dello stomaco” o “scienza che governa le funzioni della digestione”, ma questo significato è stato quasi sempre ignorato e sostituito da uno assai più vasto, non facile da racchiudere in una definizione, proprio perché ambiguo, nel senso che gli studiosi l’hanno interpretato in vari modi.   



Fra le tante interpretazioni prendiamo quella, spesso ripresa, di Jean Anthelme Brillat-Savarin (1755–1826) (nella foto sopra il suo celebre trattato) per il quale: “La gastronomie est la connaissance resonnée de tuot ce qui a rapport à l’homme, en tant qu’il se nourrit” (La gastronomia è la conoscenza di tutto ciò che riguarda l’uomo in quanto si nutre), come dire che la gastronomia – secondo il citatissimo gastronomo d’oltralpe - comprende tutto lo scibile alimentare e interessa (come precisa a commento di questa voce Furio Jesi nel Grande Dizionario Enciclopedico della Utet, 1987) “l’antropologia, l’etnologia, la storia del costume e la storia dell’economia. Le tecniche di preparazione e le scelte dei cibi costituiscono infatti nella varie culture un patrimonio tradizionale, che è in stretto rapporto con le condizioni ambientali ed economiche e che muta con il mutare di quelle. Nelle scelte gastronomiche intervengono, d’altronde, componenti psicologiche, riflessi di altri aspetti della cultura, prescrizioni religiose, ecc.”.

Uliassi a Senigallia



C’è, negli anni 90 del secolo scorso, l’interessante definizione di Jean-Louis Flandrin (1931-2000), storico e ricercatore francese e autore di alcuni libri che riguardano la gastronomia: “À la fois le goût des mangeurs, les choix qu’ils font de leurs aliments, les jours, heures, moment du repas dans lequels ils les consomment, et la préparation culinaire qu’ils leur ont subir.” ([La parola gastronomia] designa in sostanza il gusto del mangiare, la scelta degli alimenti, il giorno, l’ora e il momento del pasto e le tecniche di preparazione).

Archestrato di Gela

Prima di un approfondimento su queste definizioni non proprio concordi, facciamo un passo indietro per vedere quando la parola gastronomia è stata introdotta nel linguaggio e scopriamo che i due termini della lingua greca ricordati all’inizio, gastèr e nòmos, erano già stati uniti in un’unica parola, con l’attribuzione di un nuovo significato, da Archestrato di Gela (ma trascorse la sua vita principalmente a Siracusa), vissuto nel IV sec. a.C., il quale scrisse un trattato intitolato “Gastronomia” o “Gastrologia”, del quale sono rimasti pochi frammenti (62 in circa 300 versi). Ce lo ricorda lo scienziato e scrittore siciliano Domenico Scinà (1765-1837), autore d’uno studio fondamentale intitolato, per l’appunto, “Gastronomia di Archestrato” (Venezia, Antonelli Editore, 1842), nel quale illustra la vita e l’opera dell’antico gastronomo siceliota (cioè::greco-siculo), traducendone anche i preziosi frammenti tramandati da Ateneo (3,28) nella sua grande opera intitolata “Deipnosofisti”, nella quale riporta quanto era stato scritto in precedenza da autori sia greci che romani sui temi alimentari.

Vecio Fritolin a Venezia


Scinà precisa perché Archestrato va considerato un vero gastronomo e perché la sua opera merita appieno il titolo di “Gastronomia”, considerazioni che condivido pienamente, poiché contiene anche indicazioni in assoluta anteprima nei riguardi della Nouvelle Cuisine, che apparirà solo negli anni 70 del XX° secolo.

Aimo e Nadia a Milano


Scrive  lo studioso siciliano: “ Scelte adunque nella qualità de’ cibi, e semplicità nel condirli furono le due innovazioni che portò Archestrato nella cucina, e queste furono ben accolte da’ più rinomati cuochi della Grecia, e passarono nelle mense de’ Grandi.” E subito dopo aggiunge: “Un’altra innovazione portò il nostro poeta alla seconda cena, che direbbesi ora dessert. Nelle vivande aveva egli tolto le imbratterie, e gli untumi, e qui seguendo gl’istessi principj in quanto al condimento, vi aggiunse inoltre degli altri cibi, e ne rese più solido e più gustoso il servito. Beveano, egli è vero, i Siracusani al dessert, ma se la passavano a rosicchiar fave, ceci, e fichi secchi; Archestrato gridò contro un sì fatto costume e v’introdusse ventre e vulva di scrofa, e augelletti fatti arrosto.”


L’approfondimento di Carnevale Scianca

Su queste  interessanti e discusse tematiche è intervenuto di recente anche lo storico della cucina Enrico Carnevale Schianca, nell’introduzione al suo ottimo, innovativo e accurato studio sul trattato del Platina, il “De honesta voluptate et valetudine” (Leo S. Olschki, 2015) affermando che l’interpretazione data al termine gastronomia da Brillat-Savarin “è il concetto di gastronomia che tende a prevalere ai giorni nostri e che non mi sembra collimare con quello enunciato da Flandrin, più aderente alla posizione di rifiuto di approcci scientifici e utilitaristici, mantenuta a suo tempo da Grimod de la Renyère [gastronomo francese, 1758-1837, autore de l'Almanach des Gourmands, uscito dal 1803 al 1812] e nella quale non è difficile cogliere tratti comuni con l’atteggiamento mentale di Archestrato, di cui Grimod è il più sincero epigono, mentre Brillat-Savarin non si è ancora liberato completamente dalle pastoie di una ragionata temperanza, illusoriamente asservita all’affinamento del gusto. 

Harry's a Trieste



La differenza fra le idee dei due sembra imperniarsi tutta sull’essere gastronomi (solo) con il cuore e sull’esserlo (anche) con il cervello, cioè sul credere o meno che il piacere del gusto sia ‘oggettivabile’”.

San Lorenzo a Puos d'Alpago (BL)


Ma attenzione, scrive Carnevale Schianca: “Di qui a scivolare dalla gastronomia alla dietetica il passo è breve e lo ha compiuto lo stesso Brillat-Savarin [e, con lui, certi acclamati soloni d’oggi], che dedica una parte considerevole del proprio trattato ad argomenti quali la digestione, il sonno, il digiuno, la terapia dell’obesità, e condanna senza mezze misure le indigestioni, salutate con malcelata benevolenza da Grimod de la Reynière (foto sotto), come incidentali e inevitabili conseguenze di un appassionato esercizio di gastronomia.”



Non ci permettiamo né abbiamo la presunzione di concludere questo veloce excursus con una definizione del termine qui affrontato da ritenersi definitiva, preferendo riconoscere che quello riguardante la gastronomia è un tema di grandissimo interesse e attualità, aperto a ulteriori ricerche e interpretazioni, un ambito che privilegia decisamente il piacere della tavola, ma di una tavola intelligente, proprio come insegnava Archestrato quasi duemilacinquecento anni fa, in una Sicilia che era allora in assoluto il miglior laboratorio gastronomico esistente nel bacino del Mediterraneo, come dire del mondo occidentale, rimasto per secoli insuperato.

L'Ambasciata di Quistello (Mn)



Da che parte stanno i grandi chef contemporanei? A questo punto la domanda mi pare doverosa e attualissima. 

Dodici Apostoli a Verona


Stanno con Archestrato e Grimod de la Reynière o con Brillat-Savaren e C. Petrini, che qualche anno fa ha scritto l’introduzione a un’edizione dell’opera del gastronomo francese, convalidandone le indicazioni?

Villa Serbelloni a Bellagio


Articolo pubblicato sulla rivista on-line Quotidie Magazine