Gastronomia
Per valutare correttamente
la cucina moderna, quella degli chef più celebrati, serve prima tornare alle
origini
[Le
foto mostrano alcuni dei ristoranti simbolo dell’alta cucina italiana]
di Giampiero Rorato
Credo
sia utile soffermarci un po’ su una parola che ha attraversato i millenni, dal
IV sec. prima di Cristo ai nostri giorni e attualmente intesa e usata spesso in
modo inappropriato.
Dal Pescatore a Canneto sull'Oglio |
Mi riferisco alla parola gastronomia che, nel
corso del tempo, ha avuto le più diverse interpretazioni e le sono stati
attribuiti dei significati fra loro anche contrastanti.
Gastronomia deriva dall’unione di due parole greche: gastèr,
stomaco, ventre e nòmos, norma, regola,
legge, per cui il suo significato letterale è “governo dello stomaco” o
“scienza che governa le funzioni della digestione”, ma questo significato è
stato quasi sempre ignorato e sostituito da uno assai più vasto, non facile da
racchiudere in una definizione, proprio perché ambiguo, nel senso che gli studiosi
l’hanno interpretato in vari modi.
Fra le tante interpretazioni prendiamo quella,
spesso ripresa, di Jean Anthelme Brillat-Savarin (1755–1826) (nella foto sopra il suo celebre trattato) per il quale: “La
gastronomie est la connaissance resonnée de tuot ce qui a rapport à l’homme, en
tant qu’il se nourrit” (La gastronomia è la conoscenza di tutto ciò che
riguarda l’uomo in quanto si nutre), come dire che la gastronomia – secondo il
citatissimo gastronomo d’oltralpe - comprende tutto lo scibile alimentare e
interessa (come precisa a commento di questa voce Furio Jesi nel Grande Dizionario
Enciclopedico della Utet, 1987) “l’antropologia, l’etnologia, la storia del
costume e la storia dell’economia. Le tecniche di preparazione e le scelte dei
cibi costituiscono infatti nella varie culture un patrimonio tradizionale, che
è in stretto rapporto con le condizioni ambientali ed economiche e che muta con
il mutare di quelle. Nelle scelte gastronomiche intervengono, d’altronde,
componenti psicologiche, riflessi di altri aspetti della cultura, prescrizioni
religiose, ecc.”.
Uliassi a Senigallia |
C’è, negli anni 90 del secolo scorso, l’interessante definizione di Jean-Louis Flandrin (1931-2000), storico e ricercatore francese e autore
di alcuni libri che riguardano la gastronomia: “À la fois le goût des mangeurs, les choix qu’ils font de leurs
aliments, les jours, heures, moment du repas dans lequels ils les consomment,
et la préparation culinaire qu’ils leur ont subir.” ([La parola
gastronomia] designa in sostanza il gusto del mangiare, la scelta degli
alimenti, il giorno, l’ora e il momento del pasto e le tecniche di
preparazione).
Archestrato di Gela
Prima di un approfondimento su queste
definizioni non proprio concordi, facciamo un passo indietro
per vedere quando la parola gastronomia
è stata introdotta nel linguaggio e scopriamo che i due termini della lingua
greca ricordati all’inizio, gastèr e nòmos, erano già stati uniti in un’unica
parola, con l’attribuzione di un nuovo significato, da Archestrato di Gela (ma
trascorse la sua vita principalmente a Siracusa),
vissuto nel IV sec. a.C., il quale scrisse un trattato intitolato “Gastronomia” o “Gastrologia”, del quale sono rimasti pochi frammenti (62 in circa 300 versi). Ce lo
ricorda lo scienziato e scrittore siciliano Domenico Scinà (1765-1837), autore
d’uno studio fondamentale intitolato, per l’appunto, “Gastronomia di Archestrato” (Venezia, Antonelli Editore, 1842), nel
quale illustra la vita e l’opera dell’antico gastronomo siceliota (cioè::greco-siculo),
traducendone anche i preziosi frammenti tramandati da Ateneo (3,28) nella sua
grande opera intitolata “Deipnosofisti”,
nella quale riporta quanto era stato scritto in precedenza da autori sia greci
che romani sui temi alimentari.
Vecio Fritolin a Venezia |
Scinà precisa perché Archestrato va considerato un vero gastronomo e
perché la sua opera merita appieno il titolo di “Gastronomia”, considerazioni che condivido pienamente, poiché contiene
anche indicazioni in assoluta anteprima nei riguardi della Nouvelle Cuisine, che apparirà solo negli anni 70 del XX° secolo.
Aimo e Nadia a Milano |
Scrive lo studioso siciliano: “ Scelte adunque nella qualità de’ cibi, e
semplicità nel condirli furono le due innovazioni che portò Archestrato nella
cucina, e queste furono ben accolte da’ più rinomati cuochi della Grecia, e
passarono nelle mense de’ Grandi.” E subito dopo aggiunge: “Un’altra
innovazione portò il nostro poeta alla seconda cena, che direbbesi ora dessert.
Nelle vivande aveva egli tolto le imbratterie, e gli untumi, e qui seguendo
gl’istessi principj in quanto al condimento, vi aggiunse inoltre degli altri
cibi, e ne rese più solido e più gustoso il servito. Beveano, egli è vero, i
Siracusani al dessert,
ma se la passavano a rosicchiar fave, ceci, e fichi secchi; Archestrato gridò
contro un sì fatto costume e v’introdusse ventre e vulva di scrofa, e
augelletti fatti arrosto.”
L’approfondimento
di Carnevale Scianca
Su
queste interessanti e discusse tematiche
è intervenuto di recente anche lo storico della cucina Enrico Carnevale Schianca,
nell’introduzione al suo ottimo, innovativo e accurato studio sul trattato del
Platina, il “De honesta voluptate et
valetudine” (Leo S. Olschki, 2015) affermando che l’interpretazione data al
termine gastronomia da
Brillat-Savarin “è il concetto di
gastronomia che tende a prevalere ai giorni nostri e che non mi sembra
collimare con quello enunciato da Flandrin, più aderente alla posizione di
rifiuto di approcci scientifici e utilitaristici, mantenuta a suo tempo da
Grimod de la Renyère
[gastronomo francese, 1758-1837, autore de l'Almanach des Gourmands,
uscito dal 1803 al 1812] e
nella quale non è difficile cogliere tratti comuni con l’atteggiamento mentale
di Archestrato, di cui Grimod è il più sincero epigono, mentre Brillat-Savarin
non si è ancora liberato completamente dalle pastoie di una ragionata
temperanza, illusoriamente asservita all’affinamento del gusto.
Harry's a Trieste |
La differenza
fra le idee dei due sembra imperniarsi tutta sull’essere gastronomi (solo) con
il cuore e sull’esserlo (anche) con il cervello, cioè sul credere o meno che il
piacere del gusto sia ‘oggettivabile’”.
San Lorenzo a Puos d'Alpago (BL) |
Ma
attenzione, scrive Carnevale Schianca: “Di
qui a scivolare dalla gastronomia alla dietetica il passo è breve e lo ha
compiuto lo stesso Brillat-Savarin [e, con lui, certi acclamati soloni
d’oggi], che dedica una parte
considerevole del proprio trattato ad argomenti quali la digestione, il sonno,
il digiuno, la terapia dell’obesità, e condanna senza mezze misure le indigestioni,
salutate con malcelata benevolenza da Grimod de la Reynière (foto sotto) , come
incidentali e inevitabili conseguenze di un appassionato esercizio di
gastronomia.”
Non
ci permettiamo né abbiamo la presunzione di concludere questo veloce excursus
con una definizione del termine qui affrontato da ritenersi definitiva,
preferendo riconoscere che quello riguardante la gastronomia è un tema di grandissimo interesse e attualità, aperto
a ulteriori ricerche e interpretazioni, un ambito che privilegia decisamente il
piacere della tavola, ma di una tavola intelligente, proprio come insegnava
Archestrato quasi duemilacinquecento anni fa, in una Sicilia che era allora in
assoluto il miglior laboratorio gastronomico esistente nel bacino del
Mediterraneo, come dire del mondo occidentale, rimasto per secoli insuperato.
L'Ambasciata di Quistello (Mn) |
Da
che parte stanno i grandi chef contemporanei? A questo punto la domanda mi pare
doverosa e attualissima.
Dodici Apostoli a Verona |
Stanno con Archestrato e Grimod de la Reynière o con
Brillat-Savaren e C. Petrini, che qualche anno fa ha scritto l’introduzione a
un’edizione dell’opera del gastronomo francese, convalidandone le indicazioni?
Villa Serbelloni a Bellagio |