lunedì 25 gennaio 2016

Quando i ristoranti diventano teatro (e si fanno lautamente pagare)

Considerazioni su un volumetto di Guia Soncini

di Giampiero Rorato OdG - Venezia

(Le foto sono di cuochi poco conosciuti dalle televisioni)



Furio Pierangelini
È uscito sul finire della scorsa estate un aureo volumetto di Guia Soncini,, “La repubblica dei cuochi”, edito da il Mulino, che consiglio a quanti – e siamo in tanti – fatichiamo a interpretare quella certa cucina italiana che è ossessivamente sbandierata dai media, ostentatamente ricoperta da montagne di elogi, incensata da boriosi laudatores, quando i suoi autori - oltre ad essere comunque bravi cuochi, come tanti altri – sono delle ben note e furbe comparse televisive che vendono a prezzi che paiono iperbolici i propri piatti come fossero opere di Pablo Picasso o di Joan Mirò.

E, a ben guardare, certi cuochi “artisti” o “filosofi” come amano definirsi, prediligono per l’appunto i piatti destrutturati, complessi, incomprensibili al volgo; privilegiano la vista – lo spettacolo - piuttosto che il gusto (soddisfare il quale non è poi difficile), i colori e la forma più che la sostanza e ambiscono ad apparire sui media da smaliziati professionisti, permettendo, in qualche caso, che la loro lautamente pagata immagine attraversi ogni strada d’Italia sui fianchi d’un furgone di patatine.



Fabrizia Meroi
È il mercato, signori, ma la cucina, se permettete, è un’altra cosa. A tal proposito Guia Soncini si chiede se può chiamarsi alta cultura del cibo quella di uno chef che mette nella lista dei piatti del suo ristorante “roba come capesante al cioccolato o la zuppa di birra e tartufo” e se di fronte a proposte come queste “ci si possa aspettare che l’espressione «parla come mangi» abbia per lui [il cuoco-filosofo-artista, s’intende] il senso.

Questo è anche il risultato di trasmissioni come La prova del cuoco che da anni va sovvertendo non tanto la tradizione, ma la gerarchia dei valori gastronomici, ponendo l’apparenza al primo posto e la sostanza all’ultimo, chiacchierando di apparenze e non di sostanze.
Enrico Bartolini



E Soncini ricorda  che il celebre studioso francese Roland Barthes (1915-1980), già immaginava il cartello che sarebbe stato virtualmente apposto anni dopo alla porta dello studio tv dove si sarebbe svolta la citata prova del cuoco: “Il materiale alimentare utilizzato durante la trasmissione è da considerarsi elemento del processo produttivo e non idoneo al consumo”, come dire che a contare è l’apparire, non certo l’essere, come insegnano i “nuovi filosofi”, anche quelli della cucina, i quali, secondo Gilles Deleuze, hanno fondato il loro pensiero sul nulla.

Valeria Piccini
Eppure quella cucina impera, nuova forma trimalcionesca dell’apparire, moderno status simbol degli infelici
ricconi d’oggi e molti cuochi “filosofi” come pure i cuochi “artisti” si sono posti immediatamente al servizio di questi attuali liberti della gastronomia e sulla loro voglia d’apparire s’arricchiscono e, se in buona giornata, distribuiscono centellinata la loro remunerata amicizia.

Con quel suo stile apparentemente irridente, ma molto serio, Guia Soncini, riferendosi al cuoco più celebrato d’Italia che recentemente ha incantato anche il Presidente francese François Hollande, ha scritto: “È un pomeriggio d’estate e Massimo Bottura passa tra i tavoli. Non è molto diverso dallo stare dietro alle transenne davanti a San Pietro quando il Papa fa il suo giro per baciare i bambini e benedire gli infermi.




Graziano Prest
La clientela di uno stellato non è lì per mangiare bene, pagare molto e venire quindi ringraziata: la clientela di uno stellato è lì come i fan di una rockstar, cui nessun biglietto costoso fa scemare devozione, gratitudine e disponibilità ad aspettare fino a notte fonda all’uscita dallo stadio per chiedere un selfie al proprio beniamino. Due anni dopo non sarebbe così scontato trovare Bottura a Modena. Potrebbe essere in qualunque posto del mondo a portare il verbo. 



Renzo Del Farra
A New York, a guardare lo skyline e a farsene ispirare per l’impiattamento del
 bollito-non bollito (o a decidere che è così che poi lo venderà a noi impressionabili: ero al Central Park, ho guardato l’orizzonte, ho pensato al bollito della mia Emilia); in Australia, a osservare perplesso concorrenti di Masterchef che tentano di conquistarlo preparando lasagne alla carbonare; a Milano, a occuparsi della mensa dei poveri, emanazione contenutista dell’Expo.”

Alberto Tonizzo


Piacevolissima la graffiante scrittura dell’autrice di “Elementi di capitalismo amoroso” o, se di più il genere rosa shocking, “I mariti delle altre”, che pur ama e apprezza la cucina di Massimo Bottura, ma preferisce di gran lunga il cuoco al divo e ciò vale per molti altri cuochi che smaniano di apparire e vedono i propri fornelli quando capita, se ancora capita. 

Philippe Leveille
Gli altri cuochi, veri cuochi

Di cuochi e cuoche ugualmente eccellenti in Italia ce ne sono fortunatamente molti, che non ingombrano i monitor delle tv né pretendono chili di piombo dalle tipografie di giornali e riviste. Sono cuoche e cuochi veri, uomini e donne di cucina, che sanno esaltare al meglio la cucina italiana, non tradiscono la tradizione, conoscono e scelgono con la massima cura la materia prima, la migliore reperibile sul mercato e la trasformano in piatti di straordinaria bontà e modernità, capaci di attirare dal monde frotte di buongustai, alimentando il turismo gastronomico e l’economia del nostro paese, salutando con sincera disponibilità quanti
arrivano nei loro ristoranti e tutto ciò senza spettacolarismi, senza grancasse televisive..

Qualche nome? Comincio con le donne, umili e grandi signore della cucina italiana: Nadia Santini, Annie Feolde, Valeria Piccini, Luisa Valazza, Giuliana Saragoni, Fabrizia Meroi e come loro ce ne sono molte altre lungo la penisola.


Aimo Moro

E poi gli uomini: Aimo Moroni, Sergio Mei, Alfonso Iaccarino, Fulvio Pierangelini, Heinz Beck, Philippe Leveillé, Paolo Teverini, Igles Corelli, Massimo Spigaroli, Massimiliano Alajmo, Enrico Crippa, Enrico Cerea, Mauro Uliassi, Giancarlo Perbellini, Davide Bisetto, Ciccio Sultano, Enrico Bartolini, Marco Bistarelli, Andrea Berton, Renzo Dal Farra, Alberto Tonizzo, Graziano Prest, Sandro e Maurizio Serva, Nicola Portinari, Giorgio Vineis e ne potrei aggiungere molti altri, giovani e meno giovani, tutti impegnati in cucina e capaci di soddisfare appieno i propri.
Igles Corelli




 Tutti costoro, infatti, faticano a lasciarsi riprendere da qualche telecamera, sono a casa loro, nella loro cucina, a servizio dei lori clienti. Sono rarissime le assenze, ma anche i cuochi possono qualche volta star male.

Sergio Mei
La cucina italiana – fra le migliori al mondo, almeno in Occidente - è espressione alta della nostra storia, della nostra cultura, delle nostre tradizioni, del medesimo amore del bello che si ritrova nei musei, nei teatri d’opera, nelle chiese d’ogni paese.


È anche sapiente evoluzione, certo, piatti che resteranno nella storia non perché confinati nei libri di qualche firma prestigiosa ma perché ripetuti dai cuochi di domani e dopodomani, da godere nei ristoranti in Italia e all’estero, come i vecchi cari piatti della tradizione italiana, amati e ricercati dai gourmet di tutto il mondo.  




Marco Bistarelli
Ha mille ragioni da vendere Guia Soncini quando afferma: “Ci sono due tipi di cuochi famosi. Quelli famosi per come si mangia nei loro ristoranti e quelli famosi perché stanno in Ma stiamo attenti: mettere uno spicchio d’aglio nell'amatriciana non è innovazione, ma il pretesto perché si parli di sé, dal momento che Masterchef, per essere visto, ha bisogno non solo di concorrenti ma di giudici conosciuti anche nelle osterie di paese.









(Questo articolo è stato pubblicato nella rivista Quotidie Magazine nel novembre 2015)