L’agroalimentare semi-italiano
I prodotti made in Italy ottenuti da
materia prima straniera
L’agroalimentare italiano sta vivendo da anni una fase
piuttosto contraddittoria: noi italiani vogliamo mettere sul mercato italiano e
internazionale i prodotti alimentari in assoluto migliori ma siamo costretti ad
acquistare all’estero molta materia prima.
Prendiamo ad esempio la pasta, uno degli alimenti base della
“dieta mediterranea” che il mondo ci invidia
e copia abbondantemente.
La pasta è fatta con una gran parte di grano prodotto
all’estero. Infatti ben oltre il 30% del grano duro necessario, vale a dire 1,5
milioni di tonnellate viene importato da altri Paesi. Si afferma poi che la semola che arriva dall’estero è mediamente
di ottima qualità e serve a integrare le nostra materia prima che non sempre ha
quantità di glutine elevate.
Combattere contro queste importazioni si tradurrebbe, si
afferma, in mancata produzione di pasta italiana e proprio qui nasce il
problema.
Mi chiedo: è meglio impedire alle navi cariche di grano
straniero che arrivano nei nostri porti di scaricare il grano o è più utile che
le Associazioni di categoria (Coldiretti, Confagricoltura, Cia, ecc.) inizino
una campagna congiunta per sollecitare i propri associati ad aumentare la produzione
di grano – meglio se grano di tradizione italiana, piuttosto che quello
prodotto con seme fornito dalle multinazionali – e facciano sapere ai
consumatori che mangiare pane, pasta, pizza, dolci, veramente e totalmente
italiani costa un po’ di più ma è di gran lunga più sano e risulta anche più
buono?
E lo Stato italiano può imporre ai produttori di pasta, di
dolci, di biscotti, ecc. e ai mulini che riforniscono i forni sia industriali
che di paese di scrivere, per esempio, nelle confezioni “Pasta ottenuta da
grano italiano” oppure “Pasta ottenuta da grano estero”?
Qualità di grani e semole estere
Il problema non è tanto vedere se la pasta ottenuta da grano italiano è più buona di quella ottenuta
da grano straniero, bensì sapere dove e come è stato prodotto il grano che
arriva dall’estero: dal Canada, dagli USA, dall’Ucraina, dall’Ungheria, dalla
Russia, dalla Mongolia, ecc.? Sono stati
impiegati prodotti chimici? Come è stato conservato quel grano dopo la mietitura?
Come è stato trasportato in Italia? Si è sicuri che non contenga micro tossine
dannosissime per la salute?
Se quel grano è stato seminato, coltivato e prodotto nel
rispetto delle regole igienico-sanitarie esistenti in Italia, se fosse stato
conservato e trasportato ancora con le stesse regole non ci sarebbe nulla – o
quasi – da dire, se non che l’italianità del prodotto finito – pane, pasta,
pizza, biscotti, dolci, ecc. – esiste solo nella tecnica di trasformazione, che
è già molto, ma con un prodotto nato all’estero metterci il marchio italiano è,
a mio parere, semplicemente una truffa.
L’Italia del grano
Tutto questo per dire che l’Italia è costretta ad acquistare
all’estero molti prodotti, dal momento che quelli che nascono in Italia sono
del tutto insufficienti al fabbisogno interno e alle crescenti richieste estere,
come avviene per l’olio d’oliva, per i derivati dal pomodoro, per le carni,
ecc.
Sorge allora una domanda: è possibile che l’Italia produca
di più ciò che serve davvero? È possibile che produca di più grano duro, grano
tenero, olio, ortaggi ed abbia più allevamenti di animali?
Il mercato, lo si sa bene, detta le sue regole, ma una seria
e diffusa “educazione alimentare”, fatta
anche attraverso i media, TV in primis, può coinvolgere i produttori a compiere
delle scelte in favore dei prodotti italiani.
Lo sappiamo tutti, in Italia ci sono molte terre incolte e c’è
quindi ancora molto spazio per aumentare e migliorare la produzione
agroalimentare – grano, olivi, allevamenti animali - ma servono interventi
educativi, formativi, promozionali che oggi non ci sono e, se ci sono,
risultano del tutto insufficienti.
Quando ci saranno avremo più grano italiano – Khorasan,
Saragolla, Senatore Cappelli, ecc. – più pasta veramente e totalmente italiana,
più olio extravergine d’oliva italiano, più pomodori italiani, più formaggi con
latte italiano, più carne italiana e potremo davvero mostrare al mondo cos’è la
cucina italiana e attuare quel progetto che si sta sviluppandosi negli Usa,
sintetizzabile con la formula “dalla fattoria alla tavola”.
Traduciamola: “dalla campagna e dalla collina italiana ai
prodotti italiani d’eccellenza”.
Utopia? Dipende solo da noi.