lunedì 21 marzo 2016

L’agroalimentare semi-italiano

L’agroalimentare semi-italiano
I prodotti made in Italy ottenuti da materia prima straniera


L’agroalimentare italiano sta vivendo da anni una fase piuttosto contraddittoria: noi italiani vogliamo mettere sul mercato italiano e internazionale i prodotti alimentari in assoluto migliori ma siamo costretti ad acquistare all’estero molta materia prima.


Prendiamo ad esempio la pasta, uno degli alimenti base della “dieta mediterranea” che il mondo ci invidia  e copia abbondantemente.
La pasta è fatta con una gran parte di grano prodotto all’estero. Infatti ben oltre il 30% del grano duro necessario, vale a dire 1,5 milioni di tonnellate viene importato da altri Paesi. Si afferma poi  che la semola che arriva dall’estero è mediamente di ottima qualità e serve a integrare le nostra materia prima che non sempre ha quantità di glutine elevate.

Combattere contro queste importazioni si tradurrebbe, si afferma, in mancata produzione di pasta italiana e proprio qui nasce il problema.

Mi chiedo: è meglio impedire alle navi cariche di grano straniero che arrivano nei nostri porti di scaricare il grano o è più utile che le Associazioni di categoria (Coldiretti, Confagricoltura, Cia, ecc.) inizino una campagna congiunta per sollecitare i propri associati ad aumentare la produzione di grano – meglio se grano di tradizione italiana, piuttosto che quello prodotto con seme fornito dalle multinazionali – e facciano sapere ai consumatori che mangiare pane, pasta, pizza, dolci, veramente e totalmente italiani costa un po’ di più ma è di gran lunga più sano e risulta anche più buono?
E lo Stato italiano può imporre ai produttori di pasta, di dolci, di biscotti, ecc. e ai mulini che riforniscono i forni sia industriali che di paese di scrivere, per esempio, nelle confezioni “Pasta ottenuta da grano italiano” oppure “Pasta ottenuta da grano estero”?  

Qualità di grani e semole estere

Il problema non è tanto vedere se la pasta ottenuta da  grano italiano è più buona di quella ottenuta da grano straniero, bensì sapere dove e come è stato prodotto il grano che arriva dall’estero: dal Canada, dagli USA, dall’Ucraina, dall’Ungheria, dalla Russia, dalla Mongolia, ecc.?  Sono stati impiegati prodotti chimici? Come è stato conservato quel grano dopo la mietitura? Come è stato trasportato in Italia? Si è sicuri che non contenga micro tossine dannosissime per la salute?

Se quel grano è stato seminato, coltivato e prodotto nel rispetto delle regole igienico-sanitarie esistenti in Italia, se fosse stato conservato e trasportato ancora con le stesse regole non ci sarebbe nulla – o quasi – da dire, se non che l’italianità del prodotto finito – pane, pasta, pizza, biscotti, dolci, ecc. – esiste solo nella tecnica di trasformazione, che è già molto, ma con un prodotto nato all’estero metterci il marchio italiano è, a mio parere, semplicemente una truffa.

L’Italia del grano

Tutto questo per dire che l’Italia è costretta ad acquistare all’estero molti prodotti, dal momento che quelli che nascono in Italia sono del tutto insufficienti al fabbisogno interno e alle crescenti richieste estere, come avviene per l’olio d’oliva, per i derivati dal pomodoro, per le carni, ecc.



Sorge allora una domanda: è possibile che l’Italia produca di più ciò che serve davvero? È possibile che produca di più grano duro, grano tenero, olio, ortaggi ed abbia più allevamenti di animali?
Il mercato, lo si sa bene, detta le sue regole, ma una seria e diffusa  “educazione alimentare”, fatta anche attraverso i media, TV in primis, può coinvolgere i produttori a compiere delle scelte in favore dei prodotti italiani.



Lo sappiamo tutti, in Italia ci sono molte terre incolte e c’è quindi ancora molto spazio per aumentare e migliorare la produzione agroalimentare – grano, olivi, allevamenti animali - ma servono interventi educativi, formativi, promozionali che oggi non ci sono e, se ci sono, risultano del tutto insufficienti.



Quando ci saranno avremo più grano italiano – Khorasan, Saragolla, Senatore Cappelli, ecc. – più pasta veramente e totalmente italiana, più olio extravergine d’oliva italiano, più pomodori italiani, più formaggi con latte italiano, più carne italiana e potremo davvero mostrare al mondo cos’è la cucina italiana e attuare quel progetto che si sta sviluppandosi negli Usa, sintetizzabile con la formula “dalla fattoria alla tavola”.
Traduciamola: “dalla campagna e dalla collina italiana ai prodotti italiani d’eccellenza”.
Utopia? Dipende solo da noi.