Dal Khorasan ai grani delle
multinazionali
di Giampiero Rorato
Campi di grano dell'Oasi Rachello nel Veneto Orientale |
Il Gentil Rosso |
Poi, a cominciare dagli anni ’60 del secolo
scorso, poco più di mezzo secolo fa, i piccoli mulini di paese sono andati
velocemente scomparendo quasi tutti, lasciando il posto a grandi e moderne
aziende molitorie. Molte campagne furono da allora coltivate da salariati
agricoli, molti ex mezzadri divennero operai e i giovani preferirono la
fabbrica ai campi. Con la rivoluzione che investì il mondo agricolo con la fine
della mezzadria la produzione italiana di frumento scese velocemente fin sotto
la soglia del 50 per cento del fabbisogno interno.
Le farine non sono tutte uguali
E, da allora, arrivano sempre più
numerose le navi cariche di grano dall’America del Nord (USA e Canada),
dall’Est (soprattutto Russia, ma anche da più lontano, come dall’Australia),
mentre lunghi treni merci portano in Italia enormi quantità di grano da Ucraina,
Bielorussia, Ungheria, ecc.
Non tutte le farine sono uguali.
Ce ne sono di ottime, come quelle ottenute da grani antichi e quelle ottenute
dai frumenti incrociati nella prima metà del ‘900 da Nazareno Strampelli; ce ne sono di deboli e per renderle adatte
alla panificazione si mescolano con farine forti o si aggiungono dei prodotti
chimici. Come dire che è difficile sapere con quali farine è confezionato il
pane che mangiamo.
Attualmente ci sono dei forni che
espongono il nome del mulino dove acquistano la farina (ce ne sono di ottime,
come ha scritto nei mesi scorsi su queste pagine la dott.ssa Paola Valdinoci,
citando le farine Varvello) e i forni artigiani hanno iniziato a indicare ai
propri clienti l’intera filiera del loro pane, dall’origine del grano al pane
che vendono: varietà del grano, luogo di coltivazione, luogo di macinazione,
purezza della farina, luogo del laboratorio e ingredienti usati per
confezionare il pane.
Il Khorasan
Il grano Khorasan |
Il grano Khorasan (Triticum turgidum, spp
turanicum) è considerato uno dei veri gioielli
all’interno della grande famiglia del frumento. È un grano rustico, con un fusto alto sui 180 cm , una spiga lunga
anche 13-15 cm ,
un chicco vitreo e lungo circa 1/3 in più rispetto a quello dei moderni grani
duri. La maggior parte dei sali minerali contenuti nel grano Khorasan come selenio, potassio, fosforo, magnesio, ferro, calcio, risultano in valore superiori a quelli
dei grani moderni, soprattutto ai grani da semina prodotti dalle
multinazionali.
Ma
da dove deriva il Khorasan? Quanta strada ha percorso prima di giungere in
Italia?
C’è
un’antica regione nel cuore dell’Asia denominata Khwarezm, corrispondente un tempo all’alkhanato di Khiwa.
Siamo in Uzbekistan, già ex sovietica e ora repubblica indipendente, dove ci sono, oltre alla capitale Tashkent, le straordinarie città storiche di Samarcanda e Bukhara. Il Khwarezm è una regione geostorica compresa tra il lago Bajkal e l’area nordorientale della Persia; i cui capoluoghi tradizionali sono le città di Herat e di Mashad e questa regione è conosciuta anche con i nomi di Khorasan o Khorassan.
Siamo in Uzbekistan, già ex sovietica e ora repubblica indipendente, dove ci sono, oltre alla capitale Tashkent, le straordinarie città storiche di Samarcanda e Bukhara. Il Khwarezm è una regione geostorica compresa tra il lago Bajkal e l’area nordorientale della Persia; i cui capoluoghi tradizionali sono le città di Herat e di Mashad e questa regione è conosciuta anche con i nomi di Khorasan o Khorassan.
Il
nome scientifico del grano Khorasan ha come sottospecie l’indicazione
“turanicum”, nome che deriva da un’area ben precisa: l’altopiano turanico, che
prende il nome da Tūrān, estesa regione
dell’Asia compresa tra l’altopiano iranico, il mar Caspio e la steppa dei Kirghisi.: Nell’accezione etnolinguistica invalsa
nel sec. 19°, è sinonimo di uralo-altaico,
con particolare riferimento ai popoli turchi e mongoli dell’Asia centrale e
alle loro lingue, ma anche ad altri popoli (Sciti, Unni, Avari, Finni, Magiari, ecc.).
I contadini pugliesi
Ci
basta questo per sapere il luogo d’origine del frumento Khorasan, portato
probabilmente in Italia dalle legioni romane circa duemila anni orsono. Roma,
infatti, aveva l’abitudine di portare a casa tutto ciò che di buono trovava
nelle terre conquistate e diffondere nelle stesse i propri prodotti.
A conservare nel corso dei secoli
questo antico grano sono stati in Italia i contadini della Puglia (attenzione: nel web si tende a confondere tra Khorasan italiano e Khorasan
nordamericano) e oggi è utilizzato da un
certo numero di panettieri artigiani e il pane confezionato con questa farina è
molto gradito dai consumatori. Accanto al Khorasan italiano ce n’è anche uno
coltivato da alcuni decenni nel Nord America e immesso sul mercato col marchio
Kamut.
Ormai è risaputo che non esiste un frumento Kamut e chi scrive “Oggi
pane Kamut” scrive una stupidaggine. La parola Kamut, come detto, è il marchio
di una grande e seria azienda americana che produce anch’essa il Khorasan che,
naturalmente, è molto buono anche se più costoso del Khorasan italiano.
E con questa farina
straordinaria, oltre al pane, si producono un’ottima pasta, buonissime pizze e
dolci molto interessanti. Ecco dunque un frumento che merita d’essere
maggiormente prodotto anche in Italia, a vantaggio sì dei consumatori, ma
dell’intera economia agraria del nostro Paese.