Appunti di storia della
gastronomia
di Giampiero Rorato. OdG - Venezia
Articolo
pubblicato nella rivista online Quotidie Magazine di settembre 2015
Le prime notizie
Per il Liber Coquinarum Bonarum, scritto da un anonimo medico d’Assisi
nella prima metà del Quattrocento, riprendendo notizie e ricette de Liber de coquina dell’Anonimo trecentesco della corte angioina,
uno dei primi trattati di arte gastronomica in Italia, le spezie sono “sostanze
aromatiche esotiche”, adattate sia a impieghi alimentari che farmaceutici che
cosmetici.
Molto interessante l’origine e il
significato della parola “spezie”, e, facendo un passo indietro di almeno mille
anni, il termine “species” si ritrova
già in documenti della latinità, col significato dapprima di “oggetto”, per
indicare poi qualsiasi “mercanzia”, e, in seguito, “mercanzia di pregio”, di
provenienza lontana (esotica) e sembra che il primo a usare la parola “spezie”
col significato appena riportato sia stato lo scrittore romano Macrobio,
vissuto tra il 4° e 5° sec. d. C., autore, fra l’altro, de i Saturnalia, una ponderosa opera in sette libri, l'ultimo
esempio del genere letterario simposiaco.
Se il termine spezie e,
più precisamente species, come si diceva
allora, inizia a emergere nel linguaggio molto tardi è pur vero che i Romani
conoscevano benissimo questi “prodotti aromatici esotici”, dapprima col nome di
odores, poi, più tardi, col nome di aròmata.
San Isidoro di Siviglia |
Sant’Isidoro di Siviglia (560-636), uno dei massimi esponenti della
cultura altomedioevale europea, autore, fra le altre opere, delle Etymologiae, una straordinaria
enciclopedia in 20 volumi, scrive, come riporta Enrico Carnevale Schianca in
“La cucina medioevale”, che “ogni
sostanza profumata proveniente dall’India, dall’Arabia o da altre lontane
regioni, si chiama aroma, nome che deriva, da aër, aria, (perché è grazie all’aria che il profumo si diffonde), o,
anche da ara, altare, (perché gli aromi si bruciano sugli altari in onore delle
divinità)”.
In epoca romana si conoscevano numerosi
tipi di spezie, poi, molte di queste, diventarono rare, comunque tutte si
caratterizzavano per il loro costo molto elevato, dovuto al fatto che per
reperirle i mercanti dovevano andare in luoghi lontanissimi e misteriosi e
perché, prima di giungere all’acquirente finale, intercorrevano numerosi scambi
e tutti dovevano guadagnarci.
Un quesito ha sempre interessato
quanti si sono occupati di questo argomento: perché c’era, fin dai tempi più
antichi, una grande richiesta di spezie?
Maxime Rodinson (1915-2004),
sociologo e islamista francese, proponendo una risposta, in una relazione tenuta nel 1967 per
l’Accademia Italiana della Cucina: “I
mercanti erano favorevoli al commercio delle spezie perché le spezie avevano un
forte valore, in piccolo volume. Ma se esse avevano un forte valore, ciò
evidentemente derivava dalla grande richiesta”.
E questa enorme richiesta
esisteva già ai tempi dell’antica Roma, soprattutto in età imperiale,
rivelando, come scrive Carnevale Scianca,
“un gusto ormai consolidato, per soddisfare il quale i mercanti viaggiavano, i
marinai perivano, i banchieri concedevano crediti, i contadini stessi si
sforzavano di moltiplicare gli armenti”
L’arrivo a Roma
Le terre conquistate da Alessandro Magno |
Credo si debba risalire ad
Alessandro Magno (356 a .C.-323 a .C.) per trovare le basi
dell’interesse del mondo mediterraneo, in particolare greco e romano, per le
spezie. Le sue spedizioni in Oriente ebbero molte influenze anche sui Paesi più
evoluti bagnati dal Mar Mediterraneo e si deve riconoscere che l’Egitto, la Grecia e Roma, grazie al
grande condottiero macedone, scoprirono l’Oriente e capirono che quelle terre
possedevano un’avanzata civiltà e un’interessante
cultura.
Pepe |
Lo studioso inglese J. Innes
Miller, nel suo prezioso studio “Roma e la via delle spezie” (Einaudi, 1974),
scrive che le spezie
erano un ingrediente fondamentale della cucina romana, le droghe entravano
nella medicina, i profumi nella toilette privata e nei culti pubblici. Cassia,
pepe, garofano, loto, menta, senape, nardo, papavero, ruta, timo e cento altre
qualità di vegetali esotici giungevano nella grande capitale dell'impero per lo
più dall'Oriente.
Taxila, in Pakistan |
Facevano interminabili viaggi dall'Arabia, dalla Persia,
dalla Cina, dall'India, per un groviglio di strade che attraversavano l'Asia
continentale, punteggiate da metropoli e caravanserragli come Taxila, in
Pakistan, probabilmente la città di Takasoma,
citata da Tolomeo, risalente al IV millennio a.C.; Samarcanda, sulla via della seta, al centro delle principali rotte
commerciali asiatiche, attualmente in Uzbekistan; Dura Europos, antica
città della Mesopotamia; Petra,la stupenda capitale dei Nabatei, ora in
Giordania.
Petra, in Giordania |
Oppure fluivano lungo le rotte marittime, tra la Malacca , l'India, il Mar
Rosso e gli scali del Malabar, dell'Eritrea, del Madagascar, del Sinai. Le
carovane dei cammelli attraversavano le montagne e i deserti, in una babele di
razze, di lingue e di monete, mentre le piroghe filavano lungo i ritmi mutevoli
dei venti oceanici.
In
questo fortunato incontro di Roma con l’Oriente, dopo le influenze esercitate
dalle conquiste di Alessandro Magno, un ruolo importante l’ebbe il generale
romano Lucio Licinio Lucullo (117
a .C.-56
a .C.), famoso per le sue vittoriose campagne militari
contro Mitridate re del Ponto e contro suo genero Tigrane d’Armenia. Amante del
lusso e della buona cucina, conobbe e fece conoscere a Roma le specialità
orientali, spezie comprese, tanto che Plutarco (45-120 d.C. scrittore, biografo
e filosofo greco), parlando dei pranzi
di Lucullo, scrisse: “ Vi erano d'obbligo,
come antipasti, frutti di mare, uccellini di nido con asparagi, pasticcio
d'ostrica, scampi. Poi veniva il pranzo vero e proprio: petti di porchetta,
pesce, anatra, lepre, pavoni di Samo, pernici di Frigia, morene di Gabes,
storione di Rodi. E formaggi, e dolci, e vini.”
Lucullo |
E non va dimenticato il geniale militare Gneo Pompeo Magno (106 a .C-48 a .C.), anche lui impegnato
in Oriente contro Mitridate e poi ospite dell’Egitto, il quale, al pari di
Lucullo, foce meglio conoscere ai Romani i tesori dell’Oriente, consolidando
nei suoi concittadini il desiderio di portare a casa quanto di prezioso c’era
in quelle terre, fossero alberi da frutto, prodotti alimentari e, naturalmente,
odores, quelle spezie che in breve
tempo invasero, come vedremo il prossimo mese, le mense del patriziato romano.
Zafferano |