giovedì 5 novembre 2015

Le spezie nella cucina dell’antica Roma

Storia della gastronomia
di Giampiero Rorato OdG – Venezia


Articolo pubblicato sulla rivista “Quotidie Magazine” di novembre 2015




Arrivate nel bacino del Mediterraneo, grazie alle informazioni sui nuovi prodotti orientali dovute, come abbiamo visto il mese scorso, ai viaggi e alle conquiste di Alessandro Magno, quindi alle spedizioni militari nel Vicino Oriente di generali romani come Lucullo e Gneo Pompeo, le spezie non entrarono tuttavia subito nelle cucine romane, anche perché la maggior parte di questi prodotti esotici venne inizialmente impiegata quasi esclusivamente come medicinale.

Plinio il Vecchio (23-79 d.C.), autore della Naturalis Historia, una grande enciclopedia in 37 libri, informatissimo su (quasi) tutto, dà, per esempio, una approssimativa descrizione dello zucchero ((XII,32), definendolo “mel in harundinibus collectum” (miele raccolto dalle canne), usato solo in medicina, lasciando indirettamente capire che ai suoi tempi – primo secolo dopo Cristo – a Roma la conoscenza dello zucchero, inizialmente equiparato alle spezie (aròmata), come, del resto, quella delle altre spezie, era ancora molto approssimativa.

La pianta dello Zenzero


Per trovare documentate le spezie (aròmata) nella cucina romana dobbiamo attendere il ricettario scritto nel IV sec. d.C. e intitolato De arte coquinaria, attribuito a Marco Gavio Apicio (25 a.C-37 d.C.), un ricco epulone romano che avrebbe iniziato a comporlo con le ricette dei piatti a lui più graditi, continuato da altri e concluso nel corso nel IV secolo da un autore rimasto anonimo.

C’era già un importante volume contenente ricette della cucina romana, il De agricoltura, scritto da Marco Porcio Catone  (234-149 a.C.), ma nel secondo secolo prima di Cristo di spezie o aròmata non si fa assolutamente menzione.

L'albero del pepe


Solo nel ricettario attribuito ad Apicio i prodotti orientali sono presenti, ma non in modo eccessivo. In verità, le ricette dell’Apicio sono ricche di erbe aromatiche e semi autoctoni, facilmente reperibili anche in loco; le spezie impiegate si fermano, infatti, a una decina, con nettissima prevalenza del pepe che rappresenta il 75 per cento delle spezie impiegate. Merita poi sottolineare come il pepe sia presente nel 99 per cento delle ricette di Apicio, seguito da molto lontano e in ordine decrescente da: laser (la rarissima resina del silphium, una pianta già estinta ai tempi di Apicio), dal folio (foglie di lauro indiano), dallo zafferano, dallo zenzero, dal costo (spezia non precisata), dal nardo (pianta delle Valerianaceae, utilizzata per la produzione di profumi), e dal cardamomo.

Non serve ricordare che queste spezie orientali erano presenti esclusivamente nelle cucine dei romani più ricchi e scialacquatori, essendo prodotti costosissimi, e dove era importante poter ostentare agli amici e agli invitati la propria ricchezza.

Spezie varie


Scorrendo l’elenco delle spezie presenti nella cucina romana più ricca, nasce spontanea una domanda: perché i Romani non usavano spezie altrettanto pregiate di quelle prima citate e per noi comunissime, come il cinnamomo (la cannella dello Sri Lanka), la cannella di Cina (la cannella cassia, meno pregiata), i chiodi di garofano che i Romani ben conoscevano, come si legge nella citata opera di Plinio (XII, 30, 82), e che sicuramente conosceva anche l’ingordissimo Apicio?

A distanza di quasi due millenni non è facile rispondere, sappiamo tuttavia che molte scelte gastronomiche dei ricchi romani erano determinate dal bisogno di ostentare il proprio stato, la propria superiorità economica sulla maggioranza della borghesia, dei senatori e delle alte cariche militari, ma, soprattutto, le spezie dovevano corrispondere alle esigenze gustative del tempo, che conosciamo poco, chiaramente diverse da quelle dei nostri tempi nel mondo occidentale.

Credo che le due motivazioni che possono spiegare la preferenza dei romani per la decina di spezie indicate e, soprattutto del pepe, ignorandone altre parimenti importanti  – corrispondenza al gusto del tempo e bisogno di ostentazione – facciano piazza pulita di una convinzione che ha trovato buona attenzione fino a tempi recenti anche in attenti conoscitori della storia gastronomica. Ci riferiamo alla spiegazione data e cioè che le spezie erano usate dalla cucina romana come da quella medioevale e fino quasi ai nostri giorni per mascherare il cattivo gusto della carne avariata, per troppo lunga conservazione in tempi nei quali mancava la possibilità di tenerla a bassa e bassissima temperatura.

Mercante arabo in cerca di spezie


Nulla di più errato sia perché il cattivo sapore della carne avariata non si può mascherare con nessun prodotto, spezie comprese, poi perché chi faceva uso di spezie erano persone molto ricche – dato l’elevato costo delle spezie – che non avevano proprio necessità di ricorrere a carne malamente conservata o addirittura avariata e puzzolente, potendo avere ogni giorno la carne migliore disponibile sulla piazza, comunque carne perfettamente sana e buona.

Su questo argomento, sulla scia degli esperti del settore, aggiungiamo che il potere conservativo dei prodotti esotici, quindi delle spezie, è di gran lunga inferiore a quello del sale, dell’aceto, del miele, del fumo e, infatti, nel corso del tempo sono emerse in modo esplicito le tecniche di conservazione della carne mediante gli ingredienti appena indicati.

Un negozio di spezie

In conclusione, restando ai lunghi secoli della civiltà di Roma – dal tempo di Romolo e Remo, alla repubblica e fino alla caduta dell’impero, in un lasso di tempo che va dal 753 a.C. al 476 d.C., quindi per quasi 1230 anni - il rapporto di Roma con le spezie orientali è stato certamente molto interessante, con fluttuazioni determinate dalle possibilità economiche della classe dominante, ma limitato ad alcuni prodotti, con netta prevalenza del pepe.


Caduto nel 476 d.C. per mano di Odoacre l’impero romano d’occidente col suo ultimo imperatore-fantoccio  Romolo Augustolo, sull’Italia calerà, per quanto riguarda le spezie, il buio totale e sarà necessario attendere l’arrivo degli Arabi in Sicilia (827 d.C.) e l’inizio, dopo l’anno Mille, delle spedizioni mercantili veneziane e delle altre repubbliche marinare – Genova, Pisa ed Amalfi - verso Costantinopoli e Alessandria per riprendere il filo interrotto nell’anno 476 d.C. e incontrare nuovamente le spezie nella cucina della penisola italiana, come avremo modo di vedere più avanti.