Storia della gastronomia
di Giampiero Rorato OdG –
Venezia
Articolo pubblicato sulla
rivista “Quotidie Magazine” di novembre 2015
Arrivate
nel bacino del Mediterraneo, grazie alle informazioni sui nuovi prodotti orientali
dovute, come abbiamo visto il mese scorso, ai viaggi e alle conquiste di
Alessandro Magno, quindi alle spedizioni militari nel Vicino Oriente di
generali romani come Lucullo e Gneo Pompeo, le spezie non entrarono tuttavia
subito nelle cucine romane, anche perché la maggior parte di questi prodotti
esotici venne inizialmente impiegata quasi esclusivamente come medicinale.
Plinio
il Vecchio (23-79 d.C.), autore della Naturalis
Historia, una grande enciclopedia in 37 libri, informatissimo su (quasi)
tutto, dà, per esempio, una approssimativa descrizione dello zucchero
((XII,32), definendolo “mel in
harundinibus collectum” (miele raccolto dalle canne), usato solo in
medicina, lasciando indirettamente capire che ai suoi tempi – primo secolo dopo
Cristo – a Roma la conoscenza dello zucchero, inizialmente equiparato alle
spezie (aròmata), come, del resto,
quella delle altre spezie, era ancora molto approssimativa.
La pianta dello Zenzero |
Per
trovare documentate le spezie (aròmata)
nella cucina romana dobbiamo attendere il ricettario scritto nel IV sec. d.C. e
intitolato De arte coquinaria,
attribuito a Marco Gavio Apicio (25
a .C-37 d.C.), un ricco epulone romano che avrebbe
iniziato a comporlo con le ricette dei piatti a lui più graditi, continuato da
altri e concluso nel corso nel IV secolo da un autore rimasto anonimo.
C’era
già un importante volume contenente ricette della cucina romana, il De agricoltura, scritto da Marco Porcio
Catone (234-149 a .C.), ma nel secondo
secolo prima di Cristo di spezie o aròmata
non si fa assolutamente menzione.
L'albero del pepe |
Solo
nel ricettario attribuito ad Apicio i prodotti orientali sono presenti, ma non
in modo eccessivo. In verità, le ricette dell’Apicio sono ricche di erbe
aromatiche e semi autoctoni, facilmente reperibili anche in loco; le spezie impiegate
si fermano, infatti, a una decina, con nettissima prevalenza del pepe che
rappresenta il 75 per cento delle spezie impiegate. Merita poi sottolineare
come il pepe sia presente nel 99 per cento delle ricette di Apicio, seguito da
molto lontano e in ordine decrescente da: laser
(la rarissima resina del silphium,
una pianta già estinta ai tempi di Apicio), dal folio (foglie di lauro indiano), dallo zafferano, dallo zenzero,
dal costo (spezia non precisata), dal
nardo (pianta delle Valerianaceae, utilizzata per la
produzione di profumi), e dal cardamomo.
Non
serve ricordare che queste spezie orientali erano presenti esclusivamente nelle
cucine dei romani più ricchi e scialacquatori, essendo prodotti costosissimi, e
dove era importante poter ostentare agli amici e agli invitati la propria
ricchezza.
Spezie varie |
Scorrendo
l’elenco delle spezie presenti nella cucina romana più ricca, nasce spontanea
una domanda: perché i Romani non usavano spezie altrettanto pregiate di quelle
prima citate e per noi comunissime, come il cinnamomo
(la cannella dello Sri Lanka), la cannella
di Cina (la cannella cassia, meno pregiata), i chiodi di garofano che i Romani ben conoscevano, come si legge
nella citata opera di Plinio (XII, 30, 82), e che sicuramente conosceva anche
l’ingordissimo Apicio?
A
distanza di quasi due millenni non è facile rispondere, sappiamo tuttavia che
molte scelte gastronomiche dei ricchi romani erano determinate dal bisogno di
ostentare il proprio stato, la propria superiorità economica sulla maggioranza
della borghesia, dei senatori e delle alte cariche militari, ma, soprattutto,
le spezie dovevano corrispondere alle esigenze gustative del tempo, che
conosciamo poco, chiaramente diverse da quelle dei nostri tempi nel mondo
occidentale.
Credo
che le due motivazioni che possono spiegare la preferenza dei romani per la
decina di spezie indicate e, soprattutto del pepe, ignorandone altre parimenti
importanti – corrispondenza al gusto del
tempo e bisogno di ostentazione – facciano piazza pulita di una convinzione che
ha trovato buona attenzione fino a tempi recenti anche in attenti conoscitori
della storia gastronomica. Ci riferiamo alla spiegazione data e cioè che le
spezie erano usate dalla cucina romana come da quella medioevale e fino quasi
ai nostri giorni per mascherare il cattivo gusto della carne avariata, per
troppo lunga conservazione in tempi nei quali mancava la possibilità di tenerla
a bassa e bassissima temperatura.
Mercante arabo in cerca di spezie |
Nulla
di più errato sia perché il cattivo sapore della carne avariata non si può mascherare
con nessun prodotto, spezie comprese, poi perché chi faceva uso di spezie erano
persone molto ricche – dato l’elevato costo delle spezie – che non avevano
proprio necessità di ricorrere a carne malamente conservata o addirittura
avariata e puzzolente, potendo avere ogni giorno la carne migliore disponibile
sulla piazza, comunque carne perfettamente sana e buona.
Su
questo argomento, sulla scia degli esperti del settore, aggiungiamo che il
potere conservativo dei prodotti esotici, quindi delle spezie, è di gran lunga
inferiore a quello del sale, dell’aceto, del miele, del fumo e, infatti, nel
corso del tempo sono emerse in modo esplicito le tecniche di conservazione
della carne mediante gli ingredienti appena indicati.
Un negozio di spezie |
In
conclusione, restando ai lunghi secoli della civiltà di Roma – dal tempo di
Romolo e Remo, alla repubblica e fino alla caduta dell’impero, in un lasso di
tempo che va dal 753 a .C.
al 476 d.C., quindi per quasi 1230 anni - il rapporto di Roma con le spezie
orientali è stato certamente molto interessante, con fluttuazioni determinate
dalle possibilità economiche della classe dominante, ma limitato ad alcuni
prodotti, con netta prevalenza del pepe.
Caduto
nel 476 d.C. per mano di Odoacre l’impero romano d’occidente col suo ultimo
imperatore-fantoccio Romolo Augustolo,
sull’Italia calerà, per quanto riguarda le spezie, il buio totale e sarà
necessario attendere l’arrivo degli Arabi in Sicilia (827 d.C.) e l’inizio,
dopo l’anno Mille, delle spedizioni mercantili veneziane e delle altre repubbliche
marinare – Genova, Pisa ed Amalfi - verso Costantinopoli e Alessandria per
riprendere il filo interrotto nell’anno 476 d.C. e incontrare nuovamente le
spezie nella cucina della penisola italiana, come avremo modo di vedere più
avanti.