C’è in giro troppo pane cattivo, impariamo a scegliere quello
davvero buono
di
Giampiero Rorato
È una triste verità, attualmente il mercato italiano offre una
grande quantità di pane cattivo, il quale, costando poco (un po’ meno di quello
buono), trova sempre degli acquirenti. Per non dar adito ad alcun equivoco
voglio anche precisare che cosa deve intendersi per pane cattivo e pane buono.
Il pane cattivo
È
cattivo, tanto per cominciare, il pane che non si sa quando e dove sia stato
confezionato; quello che non si sa con quali farine e con quali modalità sia
stato prodotto.
Credo
sia ormai noto a tutti che dai confini del Nordest d’Italia entra ogni giorno
pane surgelato prodotto in qualche Paese dei Balcani, prendendo poi la strada
di diversi supermercati o altri negozi o ristoranti italiani dove si vende e si
serve pane “fresco” a ogni ora del
giorno.
E
che un tipo di pane siffatto provochi seri dubbi sulla sua qualità è più che
comprensibile.
È inoltre
vero che una delle “filiere impossibili” riguarda la farina, poiché buona parte
della farina con cui in Italia viene confezionato il pane arriva dall’estero e
il nostro fornaio, se la farina non è prodotta da un mulino del posto con grano
prodotto nel territorio non sa in quale parte del mondo sia stato prodotto il
grano da cui è ricavata la farina che giunge nel suo forno.
Ma
non basta perché non sa neppure se si tratta di farina proveniente da una sola
varietà di grano o da più varietà o da miscele di grani prodotte in Paesi
diversi (Ucraina e USA, ad esempio), come non sa come quel grano sia stato
conservato una volta trebbiato, se per conservarlo sono stati impiegati
prodotti chimici, come e per quanto tempo ha viaggiato, in nave o negli
appositi vagoni dei treni merci.
E veniamo alla farina.
È possibile, in particolare nei mesi caldi, che farine risultino
infestate dagli insetti (vermi
e farfalle). Ciò, diversamente da quello che si può pensare, non è legato alla
bassa qualità delle stesse (piuttosto è inversamente proporzionale) ma alle
condizioni ambientali avverse (caldo e umidità eccessiva) in cui sono
conservate. In qualunque farina (eccetto quelle stabilizzate) sono contenute le uova degli insetti, le quali si
schiudono rapidamente non appena si trovano nelle condizioni ideali.
Poi il nostro fornaio, anche se lo sa, non sempre è attento
al fatto che le farine sono nutrizionalmente migliori quando sono fresche (cioè
macinate da non moltissimo tempo), ma non freschissime, avendo bisogno di un’adeguata
maturazione (almeno un mese), poiché spesso le usa quando gli servono, senza
badare ai tempi di maturazione.
La corretta conservazione delle farine, sia nei mulini che
nei magazzini dei forni, è pregiudiziale alla qualità del pane, così come sono
fondamentali altre caratteristiche delle farine stesse, ben note ai fornai
E c’è un altro aspetto che i clienti non conoscono: l’impiego
dei cosiddetti “miglioratori della panificazione”.
Questi cosiddetti “miglioratori”, in base alla loro tipologia
(ne esistono di tanti tipi), servono essenzialmente a ottenere un impasto più
soffice, ad aumentare la durata del pane, migliorane il sapore, ottenere
un’alveolatura più omogenea, ottenere una crosta fragrante e, si badi bene,
velocizzare il processo di lievitazione per accorciare i tempi di produzione,
con conseguente abbattimento dei costi.
In base alla tipologia, gli ingredienti che compongono i
cosiddetti miglioratori possono essere soia, frumento, grassi animali e
“additivi chimici” , come il propionato di calcio e addirittura “derivati dal
petrolio”.
L’impiego nei forni di questi prodotti totalmente estranei
alla serie ed onesta tecnica di panificazione – per la quale servono solo
farina, acqua, lievito e sale – fa male alla salute e rende cattivo il pane.
Oggi, purtroppo, nel pane che esce da certi forni o che
arriva dall’estero c'è dentro di tutto: un po':di grasso frazionato, agenti
anti-micotici, fosfati, solfati, per non parlare del bromato di potassio,
potenzialmente cancerogeno. E per cuocerlo si arriva ad usare anche legna
verniciata, copertoni e chiodi, come è stato più volte denunciato (in internet
la documentazione è abbondante).
Ce n’è a sufficienza per capire come si possa trovare sul
mercato del pane veramente “cattivo” e pericoloso per la nostra salute.
Il pane buono
Il pane buono è quello prodotto con serietà
artigianale, come farebbe un buon padre di famiglia e come facevano le donne di
campagna fino a poco oltre la metà del secolo scorso e con ingredienti “buoni”.
Gli ingredienti, come ho ricordato poco sopra,
sono: farina, acqua, lievito e sale. Già abbiamo scritto quali farine ci
lasciano dubbiosi, anche se l’insufficiente produzione italiana ci obbliga ad
acquistare grano dall’estero. Ma sta lentamente crescendo la produzione di
grano italiano e molti mulini hanno iniziato ad accordarsi con gli agricoltori
del proprio territorio per avere grano locale sicuramente migliore del grano
straniero. (A proposito, se è vero che la varietà Manitoba è molto buona è
altrettanto vero che in Italia non manca il grano Khorasan, prodotto in Puglia,
Molise, Basilicata e Calabria, ,per cui non ci sarebbe proprio bisogno di ricorrere a quello col marchio
Kamut, prodotto nel Nord America) e poi ci sono il Saragolla, il Timilia, il
Realforte, il Casedda, il Graziella Ra, il Senatore Cappelli, e, per i grani
teneri: l’Ardito, il Mentana, il San Pastore ed altri incrociati dal genetista
Nazareno Strambelli e dai suoi allievi.
Il grano italiano è facilmente controllabile –
la legislazione italiana in materia è la più severa del mondo – per cui le
farine da grani italiani sono sotto il profilo igienico-sanitario le migliori
del mondo e, spesso, anche sotto il profilo qualitativo.
Le farine usate in purezza – a tal riguardo i
fornai dovrebbero pretendere dai mulini fornitori delle dichiarazioni scritte –
sono le sole da impiegare, eliminando qualsiasi cosiddetto “miglioratore”,
perché in effetti si tratta di un “peggioratore”, a volte di veleno vero e
proprio.
Per la lievitazione si possono usare sia il
lievito naturale o pasta acida – che consente al pane vita più lunga e
fragranza più ricca – che i lieviti normalmente presenti nei forni. Ciò che
conta è che siano rispettati i tempi naturali di lievitazione, senza ricorrere
a “velocizzatori”, che fanno solo del male all’organismo.
Se poi il pane è cotto nei forni a legna si
usino legni in purezza, per non trasmettere al pane i veleni contenuti, ad
esempio, nelle vernici.
I costi del
pane buono
Il pane buono, serio, non nocivo all’organismo,
prodotto secondo le antiche regole dei maestri fornai, rispettoso delle leggi,
costa un po’ di più del pane “cattivo”, non c’è dubbio. Ma proprio perché da
tempo c’è l’invasione e la proliferazione del pane cattivo gli italiani ne
hanno progressivamente ridotto il suo consumo fino ad arrivare a consumarne
solo circa 70 g
al giorno e sta ancora diminuendo.
Per tale quantità qualche centesimo in più non
disturba assolutamente, anzi, poiché la salute vale molto di più di qualche
centesimo. È bene ricordarlo, come è bene chiedere al proprio forno di fiducia
tutte le caratteristiche del pane che si acquista: con che farine è fatto, da
dove arrivano quelle farine, da quali varietà di grano derivano, se sono italiane o di importazione,
se ci sono miglioratori, ecc.